Mariano Picicco, come Charles Bukowski, lavora alle Poste ma, come il poeta, ha tutt’altri interessi a cui dedica la vita. E’ soprattutto un musicista. Sono sue le musiche di quel teatro ponzese degli anni ’70 rimasto nella storia culturale dell’isola. Un teatro che, con la regia di Gino Usai, e la partecipazione dei giovani studenti, coniugò magistralmente la cultura rivoluzionaria della beat-generation con la forte presenza della cultura libertaria mediterranea e isolana. Ha dato anche colonna sonora ad alcune mie poesie in lingua araba. Inoltre Mariano ha vissuto per molti anni da bambino le sue vacanze estive tra gli ergastolani sull’isola di Santo Stefano, dove il padre era direttore delle Poste. Esperienza che lo formò dandogli una diversa prospettiva esistenziale, di cui ancora oggi ne parla. Un’esperienza fortissima, educatrice in mezzo ad altri orizzonti. Erano gli anni che al carcere di Santo Stefano si sperimentava una nuova metodologia di recupero. Sotto la direzione di un illuminato Eugenio Perucatti, i condannati vivevano una maggiore libertà e conducevano una vita volta ad un futuro inserimento nella società, una volta liberi. Un carcere che lavorava per il recupero dell’uomo.1 Mariano, unico bambino sull’isola, con questi condannati trascorreva parte del suo tempo, diventò il “loro bambino” e venne coinvolto nelle attività quotidiane del carcere.
Oggi Mariano vive a Ponza, coltiva una vigna e produce per lui e gli amici un vino rosso di antiche tradizioni ponzesi. Ma soprattutto Mariano Picicco è il nipote di Maria Picicco, la cosiddetta “Madre dei confinati” durante il regime fascista, la nonna con cui è cresciuto. A casa di Maria Picicco sono vissuti, hanno mangiato, parlato, studiato e pensato i futuri padri della Costituzione della Repubblica Italiana. Ora Mariano vive e respira per queste alte stanze, dove la luce illumina le pareti e ogni cosa e i pensieri di quegli uomini sono rimasti nell’aria a vivere.
Nella mia casa-rifugio a Punta Fieno, isolata dal mondo, da ogni virus e da tutte le masse, dove sto vivendo in questi tempi di declino, non solo sanitario, l’amico Mariano mi viene spesso a trovare. Qui ci raccontiamo vecchie storie di vita vissuta, così da poter guardare il mondo da prospettive diverse, o almeno pensare e sognare un mondo migliore.
Mariano Picicco vive da artista, oltre ad essere un’importante fonte e voce di una memoria mediterranea isolana e non solo. Penso a Mariano come una biblioteca alessandrina.
La sua vita è piena di accadimenti che lo hanno arricchito nelle virtù e nell’etica e soprattutto nell’arte che lui meglio sa fare: la composizione musicale.
Nella sua famiglia, con il padre e la madre, viveva da sempre la nonna, la signora Maria Picicco. Mariano sin da piccolo stabilì con la nonna un rapporto molto intimo.
La nonna si dedicava molto a lui. La storia di vita di Maria Picicco è molto interessante. Via Canalone, la strada dove viveva, divenne un luogo di grande interesse storico proprio nel periodo del Confino [per un approfondimento, rimando il lettore al mio prossimo libro in uscita: Sandro Pertini, la mia Ponza]. Maria Picicco, dopo appena pochi anni di matrimonio, organizzò una partenza per trasferirsi, con i figli, a Buenos Aires, dove il marito era emigrato da circa un anno. Era tutto pronto: biglietti, valigie e bauli pesanti. Il transatlantico “Oceania” nel porto di Napoli li attendeva per il lungo viaggio. Ma, alla vigilia della partenza da Ponza, ricevette un telegramma in cui le veniva comunicato che il marito Salvatore Picicco era morto. Nessuna altra notizia. A quel punto Maria si trovò di fronte a un bivio: partire sola, con i figli piccoli, verso un continente sconosciuto e con un futuro incerto, oppure rimanere a Ponza e inventarsi una nuova vita. Maria decise di restare a Ponza. Destino volle che il mondo stava per cambiare. Una guerra, che attraversò prima l’Europa e poi ogni altro angolo della Terra, portò a Ponza gli uomini che questa guerra non la volevano. Arrivarono a Ponza, loro malgrado, dall’Italia, dalla Spagna, dalla Francia e dalla Jugoslavia, gli oppositori del regime fascista di Benito Mussolini e del dittatore di Spagna Francisco Franco. Intellettuali, storici, filosofi, uomini e donne di ogni estrazione sociale vennero confinati a Ponza. Maria Picicco dovette inventarsi qualsiasi cosa per portare avanti la famiglia. Iniziò ad affittare qualche stanza e a far da mangiare a questa gente. Tra gli esiliati subito corse voce della cortesia e bontà di questa donna che offriva riparo e pasti e soprattutto un porto sicuro. Maria diventò sempre più importante e presente nella vita degli esiliati. Essendo sarta, provvedeva a cucire vestiti e rammentare biancheria. A volte s’improvvisava anche medico, curando i suoi “ospiti” con erbe naturali come si usava in quel tempo. La sua casa si fece albergo, biblioteca e mensa per comunisti, anarchici e socialisti. Maria ascoltava i loro discorsi e le loro storie, iniziava a vivere i loro pensieri e le loro sofferenze. Prese coscienza della storia del mondo, degli accadimenti feroci che si stavano abbattendo sull’umanità, venne coinvolta dalla cultura di questi uomini.
Un anarchico dipingeva e così Maria scoprì la pittura. Negli anni ’60, alcuni turisti pionieri della selvaggia e onesta Ponza del dopoguerra, acquistarono i suoi quadri un po’ naif. Tra questi, l’ambasciatore Pier Luigi Alverà e il pittore Pietro Tarchetti da Parigi che, nel villaggio di Frontone, appena fuori dal porto, avevano il loro cenacolo artistico.
Maria sposò le lotte partigiane degli esiliati politici, la loro guerra, diventò complice di questi tanto da essere più volte “ammonita” e guardata a vista dalle camicie nere fasciste.
Casa sua, come altre case ponzesi, diventò luogo clandestino di incontri.
Tra queste, ricordo quella di mia nonna Angela Farese De Luca, che fece incontrare la sua prediletta nipote Rita Parisi con l’esule Mario Magri. I due in seguito si sposarono.
A casa di Maria gli anarchici organizzarono una mensa e una biblioteca. La sua abitazione venne frequentata da Sandro Pertini, Umberto Terracini, Giorgio Amendola e tanti altri.
Gli anarchici le diedero il nome di “Madre”, qualcuno più giovane la chiamava “Mamma Maria”. In seguito, arrivò malconcio da Parigi Pietro Nenni, cui Maria prestò le sue cure e la sua assistenza. Quando Nenni ebbe bisogno di una persona preparata e coraggiosa che portasse lettere e messaggi in codice, pensò a lei. Maria, dall’impetuoso coraggio, divenne staffetta partigiana. Una Ulisse scaltra e affabulatrice, come l’eroe omerico, che lottava per la sua Ponza e la sua libertà. Portava messaggi tra le case dei partigiani, li proteggeva, li nascondeva. Nenni le affidò persino le lettere da fare arrivare a Benedetto Croce a Napoli. Maria le cucì nella giacca del figlio Silverio, allora militare e quindi insospettabile, e lo mandò a casa di Croce. Il filosofo, adottando lo stesso metodo, chiamò una sarta e fece ricucire la risposta per Nenni. Maria fu anche portalettere tra Pertini e Nenni. Sapeva come evitare i controlli delle guardie fasciste, nascondeva le lettere nel ferro da stiro che solo lei sapeva smontare.
Poi la guerra finì. Nessuno di quei confinati che l’avevano conosciuta poteva dimenticare la signora Maria Picicco. Gli esuli del regime fascista diventarono i nobili Padri della Costituzione e continuarono a scriverle. Non potevano dimenticare la madre che aveva condiviso le loro sofferenze di esiliati, privati degli affetti e della libertà primaria.
Gli anarchici le mandavano lettere e fotografie. Sandro Pertini chiedeva al suo amico di Ponza, Avv. Luigi Sandolo, notizie di Maria Picicco, donna dall’invincibile coraggio.
Io non ho conosciuto di persona la signora Maria Picicco se non attraverso le storie di parenti e conoscenti ma credo fermamente che Ella possa appartenere alla letteratura greca. Tra le poesie di Pindaro e la tragedia euripidea e non solo, io intravedo il coraggioso personaggio di Maria che lotta per la libertà e la verità dell’uomo, davanti allo scorrere degli eventi. Maria sfidava il carcere, se la scoprivano poteva succedere di tutto. Lei era Antigone, non temeva.
Negli anni ’50, Palmiro Togliatti con Nilde Iotti e la loro figlia adottiva Marisa Malagoli, vollero conoscere Ponza. A Togliatti, Sandro Pertini e Pietro Nenni dissero che, una volta a Ponza, doveva assolutamente conoscere Maria Picicco e portarle i loro saluti.
Togliatti venne ricevuto dalla locale sezione del Partito Comunista, e chiese ai compagni presenti di voler conoscere una certa Maria Picicco. “E’ mia madre”, rispose commosso il giovane Silverio, casualmente seduto al suo fianco. Senza farsi pregare, andò subito a chiamarla. La madre dei confinati incontrò così Palmiro Togliatti. Si racconta che i due all’inizio si appartarono e i presenti si chiedevano cosa si stessero dicendo.
Temistocle Curcio, allora dirigente della sezione locale del PCI e presente a quell’incontro, invitò tutti al suo ristorante EEA con vista sul porto. Togliatti, per tutto il periodo ponzese, non lasciò mai Maria e i compagni che lo avevano accolto con l’affetto e la stima che si deve ad un uomo di tale ingegno culturale e politico. Il ristorante EEA divenne il loro luogo di incontro in molti pomeriggi estivi. L’EEA, prima che diventasse un ristorante, fu la casa di Pietro Nenni e proprio lì Bettino Craxi volle omaggiare, nella sua venuta a Ponza, uno dei padri del socialismo.
Il compagno Angelo Musco, insieme agli altri iscritti della sezione del PCI di Ponza, organizzò una gita in barca a remi per Togliatti. Con una piccola barca, Togliatti e famiglia visitarono la grotta Azzurra nel villaggio di Santa Maria, la grotta del Core, ma soprattutto le grotte di Pilato, antiche piscine romane. Tra i rematori, a raccontare le bellezze dell’isola, c’era proprio Angelo Musco.
La storia di Angelo avrà un finale drammatico. Lo conobbi casualmente nel manicomio di Miano, vicino Napoli. Lo andavo a trovare spesso, in quanto mi affascinava la sua persona e il suo parlare. Angelo aveva una grande lucidità. Come fosse arrivato lì, non lo immaginavo. Voleva uscire da quella struttura con la nuova legge Basaglia. Angelo era a conoscenza di quello che succedeva a Napoli e in Italia. Voleva sempre notizie del suo amico Temistocle Curcio, di Maria Picicco, di Domenico Cuomo e di altri suoi compagni, ma soprattutto mi chiedeva di Ponza. “Me li devi salutare”, mi diceva ogni volta. Un giorno d’inverno, fuori pioveva, la città aveva un cielo nordico, seduti in uno stanzone tra decine di matti, con un nauseante puzzo di piscio, tabacco e misto a varechina, mi raccontò che aveva conosciuto Palmiro Togliatti, che avevano mangiato insieme e lo aveva accompagnato a visitare i cunicoli delle grotte di Pilato. Togliatti era innamorato delle piscine romane sotto la villa di Augusto, dove ora è il cimitero. Mi diceva che Maria Picicco e Togliatti si appartavano e parlavano molto ma il contenuto delle loro conversazioni restava un segreto. Seduti a tavola al ristorante EEA, Maria raccontava la sua storia e quello che succedeva negli anni della repressione libertaria a Ponza e Ventotene. Di tutto questo, Angelo si faceva vanto, con la fierezza dovuta. La sua storia lo inorgogliva, quasi come a dirmi io non appartengo a questi.. Era chiaro che Angelo, anche dopo tanti anni in un ospedale psichiatrico, viveva una vita di disagio. A me personalmente, ogni volta che andavo a fargli visita, dava l’impressione di stare nel film di Milos Forman, Qualcuno volò sul nido del cuculo. Angelo era reticente quando gli chiedevo di approfondire la sua storia. In quell’altrove, dove la mente umana concede la residenza all’amore di quegli uomini che non si accontentano dell’ovvio. Non sempre deviare dalle norme che gli altri stabiliscono è motivo di patologia. Angelo Musco non dimostrava un’attitudine al disadattamento e alle regole sociali, come mi diceva la dottoressa responsabile del manicomio. A riguardo penso alla storia della poetessa Alda Merini e ad una sua intervista: un demente, io penso ad un uomo qualsiasi, morto in manicomio non passerà davvero alla storia. Di Angelo Musco persi i contatti quando andai a vivere a Roma. Mi rimane un indelebile ricordo di una persona molto perbene, cosciente, culturalmente e politicamente preparato, cui la storia non è stata riconoscente né la vita ha dato il tributo che meritava. Rimane Togliatti e la sua famiglia che, per un breve periodo della vita, lo hanno dato alla gloria delle persone perbene dell’isola di Ponza. Ed io che ebbi la fortuna di conoscerlo, per cui scrivo di lui, sento l’onore che un poeta deve avere quando pensa e scrive di quelli che sono passati per i demoni della memoria. Scrivo di lui affinché la memoria lo conservi nella storia dell’isola di Ponza.
Con Mariano Picicco trascorriamo le mattinate domenicali a raccontarci queste storie, qui davanti al mare, dove nulla vediamo se non la linea dell’orizzonte e una vigna che cresce. Non passano più le navi né gli aerei per colpa di un virus. Questa umanità ci preoccupa ed è motivo di intense riflessioni. Questo sistema attuale, così come l’organizzazione sociale mondiale, è finito e fallito. Bisogna assolutamente ripensarlo prima che il manicomio si riapra per tutti. Solo il volo dei gabbiani, e il cinguettio degli uccelli di passo in questo mese di maggio, e le nostre storie, rimangono a farci compagnia, arricchite sempre da nuove scoperte. Rimane la sempre voglia irrefrenabile del sogno. Perché, come ebbe a dire il grande Albert Camus, questo mondo così com’è, ci risulta insopportabile. Così, come gli anarchici scrivevano a Mamma Maria Picicco, stiamo noi. Noi, che ancora le idee e i sogni ci nutrono e stiamo a guardare il mare, apparteniamo all’Utopia.