Incontro con Fabio Rodriguez Amaya

Prof e scrittore colombiano Fabio Rodriguez Amaya, amico di José Saramago, Gabriel Garcia Marquez, Alvaro Mutis. Amico di Eduardo Galeano e traduttore di Luis Borges.

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Con Moni Ovadia a parlare di Pertini

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Antonio De Luca, Eros, Graus Editore, 2022

Tratto da LETTERATURA E PENSIERO Rivista trimestrale di Scienze Umane

di Maria Gargotta

Sono stata molto felice di far parte, il 2 agosto, del parterre per la presentazione di una silloge di poesie di Antonio De Luca dal titolo intrigante Eros (Graus editore, 2022). La sede dell’evento, in cui le parole critiche si sono congiunte magicamente alle parole poetiche, lette non solo da attori locali ma anche dallo stesso poeta, è l’isola di Ponza.
Comincio col dire di sentirmi una privilegiata, per aver avuto la fortuna di conoscere questo libro in fieri, nel suo farsi, nel suo divenire, dal momento che Antonio De Luca mi inviava le poesie man mano che le componeva.
Per la verità, più che parlare di un testo di poesie, si potrebbe parlare di un’unica, lunga poesia, strettamente intrecciata anche con le precedenti raccolte, con Navigare la rotta, con Adespota, scritte insieme all’amico Andrea Simi; un unico lungo racconto, dal ritmo greco che, senza punteggiatura, ci rimanda da tempi lontani l’eco dei versi greci, cantati dal Poeta Omero, il poeta per eccellenza.
Un lungo racconto, un’unica voce, anche se affiancata da tante altre voci, che fanno compagnia all’opera sempre solitaria del poeta; voci che De Luca, il quale di letture di ogni luogo e di ogni tempo si è nutrito, ospita, assorbe nel corpo dei suoi versi, nel segno di un comune sentire, come testimoni viventi della sua prospettiva, quella in cui lo ha posto Eros, afflato vitale da sempre presente nella sua storia di uomo e di poeta.
Dunque, Eros, un titolo suggestivo, che si potrebbe però prestare a qualche equivoco. Eros, il “dio tra gli immortali il più bello”, come cita il poeta da Esiodo; il dio, Dominus potente e terribile, come lo definisce Dante nella Vita Nuova, può indurre a pensare solo all’amore sensuale, che, comunque, in queste poesie non manca, anzi di sensualità morbida e flessuosa è avvolto ogni verso. Tuttavia, il discorso è molto più ampio e articolato di come può apparire dal titolo, perché “è lui, il dio, che muove il Fato”, dice il poeta; è lui che “in un nuovo ordine del mondo mi pose”.
Amore che cambia, dunque, le prospettive di una vita fuori ed oltre ogni ordine; una vita, quale è quella di un poeta, dominata dal caos, dalla follia creativa “che salva”, che dona libertà al poeta, che è e “rimane estraneo al mondo”. È, dunque, questo il dio, che attraversa i versi di De Luca, divenendo l’Aleph, l’inizio e la fine, l’Uno, la fonte e l’approdo. Per raccontarci questa eccezionale esperienza di vita, perché sempre eccezionale è la vita toccata dalla poesia, De Luca pone al centro, ormai i lettori delle sue poesie lo sanno bene, il Mito. Cerchiamo di intenderci: il mito non è solo una bella favola, che gli antichi amavano inventare e raccontare. Il Mito è rivelatore di verità profonde, dell’essenza dell’Essere; ma non quelle verità relative, di tipo pirandelliano, che il Novecento ci ha insegnato a conoscere e che ognuno di noi crede di possedere; il Mito è la Verità, la sapienza antica, che ci è stata tramandata dal mondo greco, che ci appartiene profondamente, perché è il nostro mondo mediterraneo, diventato sangue, respiro, per tutti coloro che, come De Luca, hanno compiuto studi classici, che si sono nutriti di quell’universo, attraverso la lettura dei suoi poeti e dei suoi filosofi. E, allora, il mito diventa paesaggio dell’anima, un paesaggio primordiale, primitivo, dove il mare, l’ulivo, la vite, le greggi insieme alle sacre parole poetiche diventano pane quotidiano, il luogo non-luogo privilegiato, in cui il poeta vive, ripeto, “estraneo sostanzialmente al mondo”.
Ma c’è di più. Questa di Antonio De Luca è anche una poesia dall’anima profondamente femminile. Quando alcuni anni fa, sempre a Ponza Paolo Mieli mi chiese se ritenevo che la poesia di Antonio De Luca fosse una poesia al femminile, risposi d’istinto sì, ma in realtà ero un po’ spiazzata, perché, pur intuendo l’anima femminile di essa, non avevo raccolto elementi sufficienti per spiegarlo. Leggendo e rileggendo queste poesie posso invece oggi ben dire che il femminile di queste poesie sta nella loro fluidità, “non sono io, io divenni un altro e un altro ancora”; una poesia dunque ondosa, che ripropone i ritmi del mare, sempre uguali ma sempre diversi, laddove, credo, il maschile è la roccia, lo scoglio, più restio ai mutamenti, alla flessibilità del divenire. In questi versi, più che in altri, ritorna l’infanzia, la casa “aperta a tutti”, il padre, la madre, le fonti della vita, addirittura il nonno, e a un certo punto il poeta annuncia “io sono un poeta di ieri, di epoche passate”, e non solo perché canta il mondo dell’infanzia, ma più ampiamente perché canta l’infanzia del mondo, aedo di un universo che qualcuno banalmente chiamerebbe defunto, e che invece è più vitale che mai, per chi sa ascoltarne ancora la voce.
Come non cogliere, allora, il sentimento dominante della nostalgia, di un passato sempre presente, di un’Itaca che sempre attende il ritorno? Itaca, Ponza, la terra dei nonni, l’Isola, distaccata e lontana dalla terraferma, ma approdo continuo, ombelico del mondo, che respira un oltre, perché “sopra le isole non si sta con il reale”.
La poesia di De Luca è poesia essenziale, come recitano nel retro della copertina, le parole di Predrag; poesie in cui non ci sono “smorfie letterarie”, non c’è superfluo, e non solo perché la poesia classica, greca in particolare, era essenzialmente chiarezza, poesia essenziale; c’è anche un altro elemento, che appartiene profondamente a questi versi: c’è l’uomo di mare, che non ama le smancerie, che, apparentemente ruvido, ama l’essenza, non l’apparenza, mai la superfluità.
Infine, un’ultima riflessione: poesia esistenziale soltanto questa di Antonio De Luca? Apparentemente sì, il poeta racconta di sé, attraverso Odisseo, in cui si identifica; racconta l’uomo, quello inquieto, positivo, che vuole conoscere, viaggiare, ma, a ben leggere, questa poesia di mare ci restituisce il Mediterraneo nella sua vera, grande natura, la sua civiltà di “casa aperta a tutti”, ci restituisce, attraverso il mito, l’uomo mediterraneo nei suoi valori essenziali, nella sua dignità. E allora, c’è molto più di una semplice esistenzialità, c’è la sotterranea proposta di una nuova umanità; una nuova prospettiva, quella portata dal vento di Eros, “tra gli dei immortali il più bello”, c’è il riconoscimento di una antica, nuova bellezza per un mondo che si disumanizza sempre di più. Molto, molto più di una poesia esistenziale. Poesia dai veri valori umani e civili. Ponza ha trovato il suo aedo, che le consegna la sua identità, il suo posto inequivocabile nel Mediterraneo, mare antico dalle mille voci, dalle mille culture. Il poeta ne raccoglie l’eco e ce la tramanda, puro e naturale, antico e nuovo, memoria e testimone di un futuro forte delle sue trovate radici.

Maria Gargotta

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Presentazione a Napoli presso lo Spark Creative Hub

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Sandro Pertini e la nostalgia di Ponza

Da oggi in tutta Italia, a dicembre sarà presentato a Napoli all’istituto Maxim Gorsky. La prossima estate a Ponza.

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“Eros”, De Luca presenta nella sua isola il suo ultimo libro

Presentata a Ponza, presso l’hotel “Santa Domitilla”, l’ultima fatica letteraria dello scrittore ponzese Antonio De Luca, “Eros”, un tributo alla Grecia antica e alla cultura mediterranea.

“Io vengo dalle rive di Omero, dalle rive dell’antica Grecia, dalle rotte degli dei, da dove tutto cominciò. Quel mondo che ha inventato la nostra storia. Queste terre ne hanno dato il pensiero, l’anima e un cuore. E soprattutto il Mito”, ha esordito De Luca.

Poi un cenno autobiografico, in cui è sintetizzato tutto il lavoro dello scrittore isolano: “Sono uno che vive per le rive mediterranee e che volge le spalle a questa civiltà. Scrivo le mie storie per vivere cercando di essere un uomo, per dare una ragione a questa vita. Non faccio programmi di scrittura, in quanto è già abbastanza difficile essere uomo in un tempo come il nostro. Un tempo in cui non mi sento più a mio agio. L’istinto, il demone della poesia, mi è salvifico per ora”.

“Scrivi così come vivi, mi disse Eduard Limonov. E scrivo anche come amo – ha aggiunto De Luca – pensando al poeta russo Andrej Voznesenskij. Mi sento un uomo perennemente in rivolta. La rivolta metafisica ed esistenziale di Albert Camus. E molto ho sempre amato: il Mediterraneo, il Mediterraneo e le sue donne, la sua cultura, la sua origine, i suoi popoli, le sue isole, la vita, il mare in ogni sua espressione, il dialogo costante tra le terre e le sue genti”.
Di più: “Come scrisse il poeta greco Odysseas Elytis per me il mare e le onde parlano greco. A Ponza ho cercato di recuperare l ‘uomo antico. Ho portato le Muse.e gli dei. Il tempo remoto. Come “l’ uomo antico” sono anche i nostri antenati isolani, che con poca conoscenza, ma molta follia e spirito di avventura, spirito omerico, spirito da argonauti, hanno viaggiato a vela da Ponza e colonizzato terre e isole intorno al Mediterraneo. Io amo le isole di tutto il mondo”.

Non poteva mancare un cenno alla sua formazione: “In filosofia mio padre è Epicuro che mi ha insegnato ad essere felice. Aristotele dice che la felicità è lo scopo della vita. Mi hanno educato alla solitudine e a condividere. A vivere nascostamente e a stare con gli altri. I miei compagni di strada sono i poeti di tutto il mondo. Non mi sento di avere un futuro, non posso avere un futuro, dove l’uomo è assente. Il futuro è il mio passato. Mi sento un inattuale direbbe Carmelo Bene. L’inattualità è la mia estetica. La condizione di vita.
La nostra storia nasce con Omero, 2800 anni fa circa, ma è partita da molto lontano, dalle steppe asiatiche e balcaniche. Omero è il grande capo, lui dice tutto, dice quanto ci serve.
Tutto ciò che Omero dice si svolge in isole e tra isole, dove le donne e gli dei danno il corso alla storia, e gli eroi, sono uomini soli ai loro piedi”.

Un intervento che è un tributo all’insularità. “Le isole sono iniziazione – ha detto – l’isola è principio di libertà, di bellezza, di virtù, di amore e di purezza. Le isole sono luoghi aperti ma nello stesso tempo chiusi, possono imprigionare ma poi anche liberare, lasciare andare.
Sopra un’isola non è netto il confine tra realtà e immaginario. Si può scomparire per poi riapparire. L’isola attraverso la letteratura omerica, concepisce l’idea del meraviglioso, fa condividere la volta celeste. La mia ricerca poetica nasce nella Grecia antica e sulle sponde di Napoli dove vissi. La sirena Partenope mi rapì. Costruivo un mondo per me, con il mio ordine, il mio bisogno di capire e di conoscere. Le mie radici nomadi, nate dalle storie di tre uomini di mare. I miei nonni e mio padre. E poi le illusioni, la bellezza, l’amore, le emozioni, la pietà. Iniziavo già allora a sentirmi fuori posto, un estraneo”.
I ricordi di gioventù: “Ricordo la prima volta che andai al Museo archeologico di Napoli e poi a Ercolano e Pompei. Decisi allora che avrei voluto vivere tra statue e resti archeologici di un glorioso passato. Ebbi il desiderio che la mia casa fosse una biblioteca, un teatro, una strada per concepire pensiero e bellezza, una sala di un museo con statue di marmo bianco, la materia eterna. Quelle statue continuano a parlarmi. Probabile che la Venere Callipigia al Museo archeologico di Napoli, fu il mio primo amore. Questo dialogo si è fatto esistenza. Una casa che contenesse tutte le isole del mondo, perché ogni isola è un mondo.

Io penso e scrivo spesso secondo una logica e un istinto, che si rifà alla lingua dell’antica Grecia e alla lingua di Virgilio, dove il verbo e la parola vivono e rispecchiano il pensiero e la ragione del sentire dell’anima, della mente, e del cuore. Parole libere in continuo mutamento ed evoluzione a cui dare il senso ultimo del mondo. Un mondo dove l’uomo cerca di vivere in armonia con la natura e con i suoi simili, e gode delle arti e della bellezza, che non è solo estetica, ma anche giustizia, pace, serenità.
Quello di De Luca è un inno all’antica Grecia. “La bellezza per i greci – ha affermato – è una virtù. L’uomo greco era un uomo libero e si chiedeva il come delle cose, oggi l’uomo dalla sua prigione, si chiede il quando delle cose. E il come e il quando hanno fini diversi, uno libera l’altro incatena. La ragione greca riflette e permette di agire sull’uomo, non di trasformare la natura. I greci sono presenti a Ponza già dall’800 a. C. Arrivano gli Eubei, da Pithecusa, la Ischia attuale. Abbiamo qui i resti di due cimiteri. Sappiamo che i morti non finiscono mai di parlarci, e non ci lasciano mai da soli. I morti ci danno forza quando i vivi sono incapaci. I morti ci parlano di coscienza individuale, di giustizia, di solidarietà, di giusta misura, condannano la tracotanza orgogliosa dell’uomo che lo porta a disobbedire le leggi umane e divine. Motivo di ogni guerra e dissoluzione sociale. Lo stesso nome Ponza è greco, viene da pontos che vuol dire mare. L’isola che nasce dal mare, pensavano i greci.

E non può esserci parto più divino e più bello di questo sorgere dagli abissi, dall’ignoto.
In alcuni uomini del mondo contadino, fino a qualche anno fa a Ponza, si sono tramandate gesta risalenti al Simposio di Platone. Così come ad Ischia ancora tutt’ora, esistono contadini con gesta e parole greche. L’isola diviene così simbolo di esistere”.
E poi Ponza, sempre al centro del lavoro di De Luca: “A Ponza sono passati tra gli altri lo scrittore Alberto Moravia, il regista Federico Fellini, la scultrice Ursula Querner, il pittore Mario Tarchetti, e il presidente Sandro Pertini. Questi artisti a cui sono particolarmente legato, danno a Ponza storia e identità più di ogni altra cosa. Ci lasciano un’isola che è materia-roccia-mare, corpo pensante di una Grecia omerica. Aristotelica e platonica.
Anche il mio ultimo libro Eros, come Adespota e Navigare la rotta, è un inno alla grecità, al viaggio, al Mediterraneo. Il mio essere un poeta greco antico. E Ponza, si fa l’Itaca del poeta Costantino Kavafis, che porto nel viaggio-esistenza. Perché le isole sono anche qualcosa che galleggiano, come disse lo scrittore José Saramago. Portano materia al nostro immaginario, viaggiano, ci portano fuori dalla caverna, dal buio, e diventano Utopia, spazi irreali, spazi sognanti, ma anche reali. Materia di vita. Simbolo di libertà. Le isole sono il corpo di cui mi sento essere fatto. Come per Fernando Pessoa fu Lisbona. E Tangeri per Paul Bowels. Il sangue che porto. L’aria che respiro. La strada che cammino. Il Fato”.

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Tributo alla Grecia antica

Per me tu sei il moderno uomo kantiano..
“Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”
Assessore alla cultura
Dott. Giuseppina Aversano

Dal Prof. Carmine Catenacci
Università Gabriele D’Annunzio
Chieti Pescara

Caro Antonio tu sei un poeta greco, greco antico, ( e tu sai che cosa significa ciò nella mia scala di valore letterario)
Un saluto affettuoso Carmine

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Eros Ponza la Grecia

Io vengo dalle rive di Omero, dalle rive dell’antica grecia, dalle rotte degli dei.
da dove tutto cominciò.
Quel mondo che ha inventato la nostra storia.
Queste terre ne hanno dato il pensiero, l’anima e un cuore. E soprattutto il Mito.
Sono uno che vive per le rive mediterranee e che volge le spalle a questa civiltà.
Scrivo le mie storie per vivere cercando di essere un uomo, per dare una ragione a questa vita.
Non faccio programmi di scrittura, in quanto è già abbastanza difficile essere uomo in un tempo come il nostro.
Un tempo in cui non mi sento più a mio agio.
L’istinto, il demone della poesia, mi è salvifico per ora.
Scrivi così come vivi, mi disse Eduard Limonov.
E scrivo anche come amo, pensando al poeta russo Andrej Voznesenskij.
Mi sento un uomo perennemente in rivolta.
La rivolta metafisica ed esistenziale di Albert Camus.
E molto ho sempre amato: il Mediterraneo, il Mediterraneo e le sue donne, la sua cultura, la sua origine, i suoi popoli, le sue isole, la vita, il mare in ogni sua espressione, il dialogo costante tra le terre e le sue genti. Io vengo dalle rive di Omero, dalle rive dell’antica Grecia,dalle rotte degli Dei.
Da dove tutto cominciò.
Quel mondo che ha inventato la nostra storia.
Queste terre a me hanno dato il pensiero, un’anima e un cuore. E soprattutto il Mito.
Sono uno c
Come scrisse il poeta greco Odysseas Elytis per me il mare e le onde parlano greco.
A Ponza ho cercato di recuperare l ‘uomo antico.
Ho portato le Muse.e gli dei. Il tempo remoto.
Come ” l’ uomo antico” sono anche i nostri antenati isolani, che con poca conoscenza, ma molta follia e spirito di avventura, spirito omerico, spirito da argonauti, hanno viaggiato a vela da Ponza e colonizzato terre e isole intorno al Mediterraneo.
Io amo le isole di tutto il mondo.
In filosofia mio padre è Epicuro che mi ha insegnato ad essere felice. Aristotele dice che la felicità è lo scopo della vita.
Mi hanno educato alla solitudine e a condividere.
A vivere nascostamente e a stare con gli altri.
I miei compagni di strada sono i poeti di tutto il mondo.
Non mi sento di avere un futuro, non posso avere un futuro, dove l’uomo è assente.
Il futuro è il mio passato.
Mi sento un inattuale direbbe Carmelo Bene. L’inattualità è la mia estetica. La condizione di vita.
La nostra storia nasce con Omero, 2800 anni fa circa, ma è partita da molto lontano, dalle steppe asiatiche e balcaniche.
Omero è il grande capo, lui dice tutto, dice quanto ci serve.
Tutto ciò che Omero dice si svolge in isole e tra isole, dove le donne e gli dei danno il corso alla storia, e gli eroi, sono uomini soli ai loro piedi.
Le isole sono iniziazione,
L’isola è principio di libertà, di bellezza, di virtù, di amore e di purezza.
Le isole sono luoghi aperti ma nello stesso tempo chiusi, possono imprigionare ma poi anche liberare, lasciare andare.
Sopra un’isola non è netto il confine tra realtà e immaginario.
Si può scomparire per poi riapparire.
L’isola attraverso la letteratura omerica, concepisce l’idea del meraviglioso, fa condividere la volta celeste.
La mia ricerca poetica nasce nella Grecia antica e sulle sponde di Napoli dove vissi. La sirena Partenope mi rapi.
Costruivo un mondo per me, con il mio ordine, il mio bisogno di capire e di conoscere.
Le mie radici nomadi, nate dalle storie di tre uomini di mare. I miei nonni e mio padre. E poi le illusioni, la bellezza, l’amore, le emozioni, la pietà.
Iniziavo già allora a sentirmi fuori posto, un estraneo.
Ricordo la prima volta che andai al Museo archeologico di Napoli e poi a Ercolano e Pompei.
Decisi allora che avrei voluto vivere tra statue e resti archeologici di un glorioso passato.
Ebbi il desiderio che la mia casa fosse una biblioteca, un teatro, una strada per concepire pensiero e bellezza, una sala di un museo con statue di marmo bianco, la materia eterna. Quelle statue continuano a parlarmi. Probabile che la Venere Callipigia al Museo archeologico di Napoli, fu il mio primo amore. Questo dialogo si è fatto esistenza.
Una casa che contenesse tutte le isole del mondo, perché ogni isola è un mondo.
Io penso e scrivo spesso secondo una logica e un istinto, che si rifà alla lingua dell’antica Grecia e alla lingua di Virgilio, dove il verbo e la parola vivono e rispecchiano il pensiero e la ragione del sentire dell’anima, della mente, e del cuore.
Parole libere in continuo mutamento ed evoluzione a cui dare il senso ultimo del mondo.
Un mondo dove l’uomo cerca di vivere in armonia con la natura e con i suoi simili, e gode delle arti e della bellezza, che non è solo estetica, ma anche giustizia, pace, serenità.
La bellezza per i greci è una virtù.
L’uomo greco era un uomo libero e si chiedeva il come delle cose, oggi l’uomo dalla sua prigione, si chiede il quando delle cose.
E il come e il quando hanno fini diversi, uno libera l’altro incatena.
La ragione greca riflette e permette di agire sull’uomo, non di trasformare la natura.
I greci sono presenti a Ponza già dall 800 a. C.
Arrivano gli Eubei, da Pithecusa, la Ischia attuale.
Abbiamo qui i resti di due cimiteri.
Sappiamo che i morti non finiscono mai di parlarci, e non ci lasciano mai da soli.
I morti ci danno forza quando i vivi sono incapaci.
I morti ci parlano di coscienza individuale, di giustizia, di solidarietà, di giusta misura, condannano la tracotanza orgogliosa dell’uomo che lo porta a disobbedire le leggi umane e divine.
Motivo di ogni guerra e dissoluzione sociale.
Lo stesso nome Ponza è greco, viene da pontos che vuol dire mare.
L’isola che nasce dal mare, pensavano i greci.
E non può esserci parto più divino e più bello di questo sorgere dagli abissi, dall’ignoto.
In alcuni uomini del mondo contadino, fino a qualche anno fa a Ponza, si sono tramandate gesta risalenti al Simposio di Platone.
Così come ad Ischia ancora tutt’ora, esistono contadini con gesta e parole greche.
L’isola diviene così simbolo di esistere.
A Ponza sono passati tra gli altri lo scrittore Alberto Moravia, il regista Federico Fellini, la scultrice Ursula Querner, il pittore Mario Tarchetti, e il presidente Sandro Pertini.
Questi artisti a cui sono particolarmente legato, danno a Ponza storia e identità più di ogni altra cosa.
Ci lasciano un’isola che è materia-roccia-mare, corpo pensante di una Grecia omerica. Aristotelica e platonica.
Anche il mio ultimo libro Eros, come Adespota e Navigare la rotta, è un inno alla grecità, al viaggio, al Mediterraneo. Il mio essere un poeta greco antico.
E Ponza, si fa l’Itaca del poeta Costantino Kavafis, che porto nel viaggio-esistenza.
Perché le isole sono anche qualcosa che galleggiano, come disse lo scrittore José Saramago. Portano materia al nostro immaginario, viaggiano, ci portano fuori dalla caverna, dal buio, e diventano Utopia, spazi irreali, spazi sognanti, ma anche reali.
Materia di vita. Simbolo di libertà. Le isole sono il corpo di cui mi sento essere fatto. Come per Fernando Pessoa fu Lisbona. E Tangeri per Paul Bowels.
Il sangue che porto. L’aria che respiro. La strada che cammino. Il Fato.

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Rinasce Ponza dai suoi abissi

Ogni giorno quello che pensi, quello che scegli e quello che fai, è ciò che diventi, scrive Eraclito.
L’isola di Ponza sceglie una nuova rinascita dai suoi abissi. Una nuova Resurrezione appare sull’altare della sua gloria. La Ponza di Alberto Moravia, Federico Fellini, Ursula Querner, Mario Tarchetti, Gianni Silvestri, e soprattutto di Sandro Pertini, grida un nuovo parto. La Ponza che accolse rifugiati e confinati da ogni parte del mondo chiede giustizia. La Ponza dei nostri nonni, dei nostri padri chiede nuova vita. Un ritorno alla sua storia. Dalle ceneri, dall’assoluto abbandono di ogni forma di democrazia, dall’esilio morale, dall’orrore che alcuni uomini, i peggiori della sua storia, l’hanno trascinata, umiliata. Una Ponza moralmente esiliata. Abbastanza da avvilire e deprimere ogni essere umano. Mai sentii tanta amarezza, delusione, sconforto, allarme e disperazione tra i suoi abitanti e i villeggianti di passaggio. Ma oggi, il popolo di Ponza, che ebbe fama e gloria per i suoi naviganti, per le donne che accolsero e curarono le ferite fisiche e morali di quegli intellettuali, che la follia mussoliniana portò all’esilio, dice basta. La Ponza dei suoi uomini migliori e delle donne perbene e virtuose, dice basta a questo senso di morte che la attanaglia. La Ponza di quei bambini che vedevo giocare liberi e felici sulle spiagge, per i vicoli tra le case, quei bambini mediterranei, grida libera, una nuova vita. Un ritorno alla cultura, alla civiltà, al progresso, alla democrazia, alla conoscenza e alla giustizia. Mai ho ascoltato a Ponza, politici così bravi nella conoscenza dello Stato e le sue leggi, nell’eloquenza del loro discorrere, su programmi politici, progetti, sogni e speranze. Tanto da commuovermi, e trasmettere alla gente tanta forza e coraggio. Una piazza Pisacane divenuta una Agorà di Atene. Un discorso politico, di questi nuovi e futuri amministratori, fatto con la chiarezza, l’ardore, la passione e le giuste illusioni. Con l’intelligenza e il coraggio degli anni miei di giovane rivoluzionario, tra le università e le strade di Napoli. Sembrava di ascoltare uomini come Mario Capanna, Enrico Berlinguer, Giorgio Almirante, Bettino Craxi, Amintore Fanfani. Uomini che se pur di differente estrazione politica, amavano l’Italia e il suo popolo. Uomini che hanno difeso la libertà e la dignità dell’Italia. Così mi sono apparsi questi giovani di Ponza nei loro discorsi politici, aggiungo esistenziali. Perché senza metafisica, senza idee non si va da nessuna parte. Così mi hanno trascinato in un sogno da realizzare. Ed ora, il popolo di Ponza dice basta. Basta a lacchè, voltagabbana, faccendieri di turno, mafiosi e camorristi, basta a ominicchi per le stanze del potere. Basta ai finti storici, alle falsità di quelli che sboccano inutilità di parole infertili, e di grandezze di solo io. Basta ai quaquaraquà di Leonardo Sciascia. Basta a prostitute del pensiero, e non solo, che offendono e umiliano la nostra terra. Ritorni ad essere Ponza, isola di vecchi a passeggiare tra i suoi muretti, dei bambini a correre felici, di uomini sognatori a realizzare un mondo migliore. Che non ci siano più ultimi né primi, ma solo persone civili che devono vivere. Che non ci siano più abbandoni e ingiustizie sociali. Siano perseguitati e consegnati alla giustizia tutti coloro che delinquono e creano malessere alla dignità umana. I furbetti vari e i violenti devono essere allontanati da Ponza. Ponza rinasce dai suoi giovani, dai suoi bambini, dai suoi artisti. A tutti sia dato una mano, una possibilità, affinché la vita abbia un senso e una speranza. Via dalla nostra isola delinquenti, assassini, e ogni forma di violenza. Ma si accolgono solo persone che portano cultura, armonia, pace, amore e bellezza. Uomini di ogni colore e di ogni paese senza discriminazioni. La terra è di tutti, e Ponza appartiene alla terra. Il benessere sia per tutti. La ricchezza distribuita con la giustizia sociale. Sia Ponza fucina di Democrazia, dove nessuno sia così ricco da comprare un altro uomo, e nessuno così povero da vendersi, come scriveva Rousseau. Che non sia solo il denaro la sola formula di una vita migliore. Non è il denaro la sola vita. Ma la cultura sia la madre che allatta i suoi figli. La bellezza domini ovunque. La felicità il solo scopo di vivere. Nelle rocce, nelle acque del mare, nella storia, così come nella nostra anima e nel cuore, trionfi la bellezza. Kalos Kai Agatos si sentiva ad Atene, già nel 500 a. C. Bellezza e armonia, affinché la vita convenga vivere. Affinché il pensiero umano possa nascere ed evolversi nella conoscenza. Ponza con queste elezione politiche grida basta a deturpare ed uccidere le proprie bellezze. La propria dignità. Che sia un nuovo Risorgimento per tutti. Che trionfi la Ponza degli uomini che l’amano con la giusta consapevolezza di essere loro, e solo loro, i custodi di un grande patrimonio che il destino gli affida. Lo Stato, la Repubblica italiana, che anche a Ponza fu pensata dai nostri padri costituenti, sia presente, come prima e più di prima. Lo Stato accompagni Ponza alla sua rinascita, politica, istituzionale e culturale. Ritorni Ponza ad essere una strada del grande teatro Mediterraneo. La sua identità. Ritorni Ponza alla sua madre Campania, ritorni a parlare con le sue sorelle isole, Ventotene, Procida, Capri Ischia. Un solo popolo, gli Eubei, ci portò la vita. Franco Ambrosino, persona giovane e perbene da sempre, è il nuovo sindaco. E tutti i suoi consiglieri, nessuno sia escluso, siano gli angeli che dovranno traghettare la nostra amata Ponza, per la bellezza e la libertà che il Fato le concede. Le strade della civiltà Mediterranea. La lettera di Pericle agli ateniesi si faccia monumento all’entrata del Comune, affinché ogni uomo conosca il proprio vivere. Laggiù c’ è Ponza, scrisse Alberto Moravia. Laggiù soffia Moby Dik scriveva Hermann Melville. Laggiù c’è la libertà.

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Naufragio di una civiltà, De Luca da Ponza a Tangeri

Fenici, cartaginesi, romani, arabi, portoghesi, spagnoli, inglesi.

Sono tanti i popoli che hanno vissuto e combattuto per Tangeri, lasciando il segno del loro passaggio.

In quella città cosmopolita sulle rive del Marocco, che si affaccia sullo stretto di Gibilterra, sta trascorrendo il suo tempo il poeta ponzese Antonio De Luca e vi sta trovando profonda ispirazione.

Quei luoghi, una delle sue tappe tra un porto e l’altro del Mediterraneo, lo riportano alla sua gioventù a Napoli, a Ponza, l’isola in cui ha ben salde le sue radici, e alle tante peregrinazioni che lo hanno fatto diventare il cantore della cultura mediterranea.

Riceviamo gli ultimi versi scritti proprio nel centro marocchino e dedicati a suo padre, un uomo che in mare, al comando di una nave, ha trascorso l’intera vita.

Naufrago di una civiltà
parte seconda

una giacca sgualcita
un pantalone largo
la macchina fotografica
qualche penna molti fogli
e in tasca un consunto Neruda
trovato in una bancarella di Napoli

è primavera
l’aria afosa d’Africa
a metà giornata il riverbero della luce
tra i muri bianchi delle case
sulla gente al caffè
tra le barche dei pescatori

Tangeri la ventosa
Tangeri la bianca
Tangeri la notte
Tangeri per cosa si vive

come un presepe
di quando ero bambino
quando per ore
stavo a guardarlo in silenzio
e dargli la vita

La mia stanza bianca
ha grandi finestre
le spalanco dove l’oceano entra nel Mediterraneo
entra la luce splendida del mattino
la luna piena della notte
entrano le grandi navi lontane
le voci della operosità degli uomini
il lamentoso canto delle tortore
le stagioni delle favole
la vita insieme senza saperlo

a Tangeri ogni gesto
porta un messaggio una memoria
corpi fatti di storia
di tante civiltà
ieri sera ho cenato con gente della Palestina
a Tangeri non siamo soli al mondo
e così sarò un uomo diviso

Di spiaggia in spiaggia
di strada in strada
di paese in paese
da sud a sud
mi sono separato
da tanta parte della mia vita
dalle ceneri della civiltà:

e per questo ecumene
risorgo oziando

ipotizzo sogno spero
dubito
scrivo lettere
e versi inconsumabili
amo l’amore che non dico
le illusioni

vedo altre vie altri mondi
altre visioni altre realtà
rivelazioni che portano a nuova sorte:

il naufrago è nudo
è un greco
e niente di lui si sa
lo nasconde l’onda
sulla sabbia di ritorno

la figlia di Alcinoo
è sull’isola dei Feaci
lo vede lo cura lo ama

Tutto è indefinito
dove l’origine resiste
la primitiva meraviglia
la terra ancestrale
l’istinto liberatorio:

mio padre mi parlò della comprensione:
mio padre raccontava
di mare di navi di porti
di naufragi e tempeste
della nebbia
di marinai e dei popoli della terra
della loro povertà e dei loro dolori
dei mendicanti sui porti

da quando scoprii gli storpi
e i miserabili della terra
la mia vita non fu più come prima
da allora un senso di impotenza e frustrazione
si è impossessato di me

E in disparte dal mondo
preferisco vivere
dove il tempo passa
come se dovessi
vivere per sempre

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