Il mio intervento alla trasmissione radiofonica Imbarco immediato del 12 agosto scorso.
LE MULTINAZIONALI DEL PENSIERO di Antonio De Luca
Un mare di storie, culture, leggende, una via di comunicazione
Torna ospite Simone Perotti, marinaio e scrittore, autore di un “Atlante delle isole del mediterraneo”. Con Enrico Mereu, lo scultore dell’Asinara, il poeta Antonio De Luca, il medico di Lampedusa Pietro Bartolo e Massimiliano “Ufo” Schiavelli, musicista degli Zen Circus
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Da una tradizione di cultura contadina risalente al 1800, i pomodori crescono in assenza di acqua, tranne il giorno della messa in posto della piantina. Il terreno è vulcanico, un suolo misto a riolite e trachite, con la presenza di abbondante pietrame. Il suolo viene concimato solo con letame di asini. I pomodori hanno la grandezza di un oliva.
Isola, bellezza e follia, dolore e passione. Vulcano dalle viscere della terra, dagli abissi del mare alla luce del sole a creare
la tua immortale bellezza. Quanto di te mi appartiene, quanto di te
ho dovuto amare e soffrire nel viaggio della vita.. Ti ho sognata nel mio peregrinare lungo le sponde del mediterraneo. Ti amo isola, prendi questa mia dichiarazione d’amore e fai la tua legge. Amare è non pensare, io non ho filosofie, ma sensi, se parlo della natura e della sua bellezza, non è perché io sappia cosa essa è, ma perché la amo. Perché chi ama non sa mai quello che ama, né sa perché ama, né cosa si ama, perché amare è l’eterna innocenza. Allora Isola eccoci l’uno di fronte all’altro in questo sogno di bambino, perché nessuno sa sognare meglio di un bambino. Solo i poeti e gli artisti sognano perché continuano a rimanere bambini. Isola con la tua immortale Bellezza, che acceca, ma può anche distruggere o annegare, cosa farai di me e di noi uomini che adesso ti abitiamo, che ti amiamo, o ci illudiamo di amarti. Cosa desideri da noi, dal nostro comportamento, dal nostro vivere quotidiano, lungo i tuoi lidi, sulle tue spiagge, tra le piazze e le logge. Rendici i tuoi desideri, le tue ansie il tuo respiro, Isola. Non sono forse nati gli Dei dalle isole. Essi ci guardano, spiano i nostri atti, il nostro dire, l’etica e la morale, le nostre emozioni, affinché noi e l’isola possiamo vivere in armonia. La bellezza pretende l’essere buoni. Kalos kai agatos, il bello e il buono, gli antichi greci ci hanno dato gli strumenti affinché la vita possiamo viverla nell’armonia, nella serena convivialità. L’amore protegge la bellezza. Isola bellissima, ti sogno galleggiare sul mare alla deriva in questo mediterraneo dalle acque ancestrali. Ti vedo con i tuoi bambini che giocano sulle spiagge e si rincorrono nella bassa marea a raccogliere conchiglie. I bambini che suonano il pianoforte ad osannare la tua bellezza di ninfa. Che alzano le vele lungo le tue coste e guardano ammaliati i tuoi colori, i tuoi silenzi. I bambini sanno parlare col silenzio. I bambini che sanno remare, che sanno parlare ai delfini e alle balene, che pitturano la loro anima con le onde del mare e gli uccelli. I bambini che scrivono poesie. I bambini che vivono lungo i tuoi lidi, tra le rocce, sugli scogli, che gridano alle onde la loro gioia. Ogni luogo di te Isola deve essere per i bambini. Sono loro i tuoi futuri guardiani, quelli che ti dovranno proteggere. Ma per proteggerti ti dovranno amare. E tu insegna le loro fragili menti, i loro cuori, le loro coscienze ad amarti.
Vedo i vecchi seduti su tante panchine, lungo le banchine, sui marciapiedi, nella maestosa tua piazza. Sento i vecchi a parlare tra di loro, sotto gli alberi. A raccontarsi la vita, a scrivere le loro storie di uomini di mare, di naufraghi della vita. I vecchi a guardare il mare, i vecchi con i bambini per mano, sulle spiagge a raccontare le favole della bellezza e dell’armonia, a insegnare ai bimbi le rotte della vita. Vedo i vecchi sorridenti, tranquilli, invecchiare sereni, perché hanno una casa, hanno
un dottore, hanno di che sfamarsi, hanno dove sedersi, dove passeggiare. I vecchi che ancora si emozionano davanti alla tua intatta bellezza Isola. I vecchi che prendono ancora una volta una barca per i loro orizzonti inesplorati. I vecchi che ancora pregano in silenzio il loro dio. I vecchi che possono invecchiare sereni nella terra che li ha visti crescere, lavorare, amare, soffrire. I vecchi, figli di quel padre di Ulisse, che attese il figlio dopo i lunghi viaggi che la vita pretendeva. I vecchi sono la tua grande ricchezza Isola, perché i vecchi sono i nostri maestri che ci insegnano ad amare e proteggere la tua sconquassante Bellezza.
Quella che rende la forza della vita.
Isola divina di una maga, la tua eleganza sul mare come una ninfa in attesa, è di quel Dio che si chiama Amore e fa innamorare gli uomini. Tra i tuoi lidi gli Dei ci fanno innamorare, come Ulisse che incontra Circe, che ancora oggi sentiamo la sua forza per queste sponde, a proteggere gli innamorati. E’ questa tua bellezza di Dea, Isola che apre i cuori e porta l’amore che rende felice gli uomini. E noi nuotano come bambini per i tuoi lidi, i tuoi fondali dai mille colori. I paesaggi sono dentro di noi, è lì che diventano paesaggi interiori, i nostri paesaggi dell’anima. La bellezza del paesaggio sta nel nostro essere, nel nostro divenire, nella nostra identità, nella cultura che dobbiamo difendere. Se la nostra anima è bella e buona, allora il paesaggio continua a vivere nella sua Bellezza e tutto ci magnifica la vita. Anche la Bellezza pretende un’anima bella e buona, per essere guardata e amata.
Isola vedo tanti giovani che lavorano, e in armonia vivono sereni, hanno famiglia e una casa. Hanno i figli che vanno a scuola e crescono gioiosi e sani, nella mente e nel corpo. Vedo genitori che insegnano al comportamento corretto i propri figli, vedo genitori che insegnano la morale e il rispetto per tutto ciò che è la vita. Vedo tutti gli uomini che insegnano i figli ad amare e rispettare la tua bellezza Isola, affinché tu rimanga e ti conservi come quella Dea che venne dal mare, dalle viscere della terra. Isola, la tua bellezza è la nostra bellezza, e amare la bellezza, è delle virtù la più nobile. Quella che ci avvicina agli Dei e ci fa essere più felici. Isola, fa della nostra appartenenza i guardiani della tua immortale bellezza, e noi di te la casa dell’armonia, un giardino di epicurea memoria, dove tutti amano vivere.
La poesia è distacco, lontananza, assenza, delirio, suono e soprattutto urgenza, vita, insofferenza d’esserci, mutevolezza.
Da un punto solo, troppo lontano per noi non poeti, Antonio abita e orchestra le luci e le ombre delle sue poesie, sempre nuove e rinnovate ad ogni lettura.
Scrivo affinché questa pagina torni bianca, sembra dirci l’autore e, ad ogni lettura, accade esattamente questo ai suoi mari ed ai suoi luoghi.
Nuovi, bianchi, spumosi, agitati e pronti a tutto.
Chiara Costantino
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Navigare la rotta in meno di otto mesi è alla sua seconda edizione. Di nuovo ci sono quattro nuove poesie che ne sostituiscono altrettante e l’arricchimento della quarta di copertina col lusinghiero commento di Luciano Canfora, che definisce la raccolta – Un testo appassionato e appassionante. Un tributo alla grecità – e l’opinione di Paolo Mieli: Un magnifico libro. Il mare di De Luca è quello da cui viene tutta la nostra civiltà.
Promotrice della nuova presentazione è stata la Fondazione Morra che ha colto in Navigare la rotta elementi di coerenza con la specificità delle sue attività e ha offerto alla lettura dei versi di Antonio De Luca e alle dotte riflessioni che l’hanno accompagnata, la sala delle Capriate del Museo Hermann Nitsch, una perla nel panorama artistico-culturale di Napoli.
Il Nitsch è un luogo in cui la Fondazione organizza produzione e trasmissione intergenerazionale dell’arte contemporanea, e per questo ha il nome di Museo-Archivio Laboratorio per le Arti Contemporanee.
Nelle sue ampie sale, ricavate da una struttura industriale dismessa, si può respirare un’aria quasi sacrale, quella che l’arte infonde negli animi o nelle viscere – visto che stiamo parlando di Nitsch – quando è esito di una ricerca che vola alto per coglierne l’essenza.
Come mi dice Antonio guardandosi intorno prima dell’arrivo del pubblico, è un vero tempio, un tempio pagano. La religiosità che ispira viene dalla macerazione dell’anima, dalla capacità esperenziale della mente che non vuole seguire una razionalità arida, incapace di dare risposte, ma si slancia, sotto l’imperiosa spinta di un bisogno vitale, oltre l’orizzonte.
Non poteva esserci migliore cornice per i versi di Navigare la rotta.
Dall’intervento del poeta Andrea Simi, che ha letto con grande afflato la bellissima Mediterranea, a quelli di Maria Gargotta e Francesco D’Episcopo, docenti della Federico II, le riflessioni hanno messo in evidenza la capacità del poeta di calarsi nella grande cultura classica con lo sguardo dell’oggi, muovendosi al suo interno con lo spirito inquieto e folle proprio del visionario contemporaneo.
E’ stato detto che i suoi versi, dove vivono voci provenienti da lontano nel tempo e nello spazio, sono straordinari non tanto per la molteplicità di luoghi che riportano, ma per come il poeta li vede, perché Antonio vede oltre, seguendo una sua rotta, quella della follia.
In lui, così pieno di creatività, c’è uno spirito dionisiaco che lo proietta al di là delle barriere del reale, verso una visione-altra del mondo dove la vita acquista una dimensione diversa e brilla nella sua sacralità.
Quanta simbologia è nell’immagine di copertina dove la testa rotta di Afrodite, la dea della bellezza e dell’amore, binomio essenziale alla vita, richiama la profanazione del Mediterraneo, oggi cimitero marino, tomba di migliaia di vite!
A chi cerca l’oltre, la prosaicità e decadenza della vita quotidiana pesano molto e il tormento spinge alla fuga. Così Antonio De Luca, nel suo intervento, esprime il desiderio di scappare da Napoli, una città che ha perso l’anima nella sua insulsa modernità. Attraversare le sue strade, questo inverno, è stato per lui angosciante e nella cupa Napoli ufficiale ha potuto sopravvivere solo immergendosi nel Museo Nitsch, che definisce tempio di un paganesimo primordiale.
Tutto è perduto? Napoli per Antonio è stato il luogo da cui è partito il suo rapporto col mondo classico; ma dove guardare per sperare in un recupero della sua anima plurimillennaria?
C’è un piccolo episodio che gli apre il cuore alla speranza. Girando fra le bancarelle di un mercatino multietnico, un giorno ha sentito usare naturalmente la lingua napoletana da un piccolo somalo.
Ecco, lo scambio fra popoli può riprendere e questo potrebbe far nascere una nuova Neapolis.
Così intravvede, in lontananza, la Napoli diversa da quella di oggi che potrà tornare ad amare.
Per ora la città in cui sta bene è Lisbona, ma il suo locus amenus rimane sempre la vigna del Fieno, luogo vitale da cui parte e a cui ritorna, dove il suo io trova il tempo-spazio in cui sta bene.
La dotta e piacevole discussione è stata intercalata dalla lettura di alcune poesie di Antonio, tra cui una in napoletano, oltre che da un canto in greco delle zone del Salento, a cura di Margherita Vicari e Irene Gallardo accompagnate da Julia Primicile Carafa col suo flauto.
Tra il pubblico tanti volti attenti e interessati, alcuni anche ponzesi.
“Il Mediterraneo è un lager e bisogna ancora dire chi è il carnefice di questo macello. Non è la storia del Mediterraneo questo accadimento come non sono la storia della Germania i lager nazisti. Il Mediterraneo è anche la più bella culla che un popolo possa avere. Questo popolo è cresciuto attraverso questo intreccio di religioni, di pensieri, di amori, di cibi, di pane, di idee: questo è il Mediterraneo.”
E come si può salvare questo mediterraneo dai nuovi carnefici?
L’ultimo libro che il mio amico poeta ha scritto “è un primordiale pensiero di prima che il Mediterraneo diventasse il lager che oggi è”
Ecco, possiamo salvarlo attraverso la poesia mantenendo viva la memoria di quello che era questo grande mare chiuso da sponde, dalle quali sono sempre partite genti di colori diversi per incontrarsi, conoscersi e costruire una nuova coesistenza umana.
Cosa ha fatto fallire questo naturale progetto di convivenza: l’avidità di pochi uomini che oggi in giacca e cravatta si nascondano tra grattacieli di cristallo.
“Caro amico noi dobbiamo guardare il Mediterraneo poetando, cercando le giuste parole che possano degnamente descrivere questa grande cultura: questo cerca di fare la mia poesia. Ma non solo questo. “Io ho bisogno di nutrirmi di parole che vanno alla ricerca di immagini, di ricordi, di sapori, odori pensieri, conosciuti, sognati. Parole che mi trasportano oltre la mia esistenza materiale, che mi fanno rivivere il mio bellissimo passato e se lo portano sempre dovunque io possa di nuovo approdare e come un relitto un giorno “stracquare” in rive sconosciute.”
E infatti non tutti si cibano di parole come fanno i poeti, non tutti sanno navigare oltre come fa la poesia di Antonio: “la poesiaarriva dove il pensiero razionale non arriva perché un vero poeta è veggente.”
Il mio poeta Antonio continua a portare la sua poesia in giro per il mondo, e le sue parole stanno diventando sempre più lette, ascoltate, cantate, commentate e studiate.
Lui spesso mi dice: “Se non c’eravate voi io non sarei mai stato”. Io lo guardo, sorrido e quando sono solo, leggendo le sue poesie, mi commuovo.
Il Fato ha voluto che NAVIGARE LA ROTTA, seconda edizione in 6 mesi, la raccolta di poesie scritte lungo un viaggio mediterraneo, avesse la sua prima presentazione a Napoli, dopo quella della prima edizione, a luglio nell’isola di Ponza durante la rassegna “Ponza d’Autore”, condotta da Paolo Mieli e Gian Luigi Nuzzi. La Neapolis della sirena Partenope, la Neapolis virgiliana dove ho vissuto gli anni tra i più sereni e più belli della mia vita, quelli del Liceo. E dove presentare un libro carico di quel paganesimo primordiale se non alla FONDAZIONE MORRA, al Museo Hermann Nitche. Un tempio pagano dove l’opera di Nitche è carica di quella sacralità dionisiaca e apollinea, che mai ha lasciato la mia religiosità primordiale. Una città, Napoli, simbolo del Mediterraneo, carica di ogni significato esistenziale ed estetico, del mio viaggiare tra città e lidi mediterranei. Napoli città mediterranea, come Marsiglia, Barcellona, Atene, Tangeri, Istanbul, Palermo.
A. D.L. [Napoli 5 febbr. 2018]
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Il Fato ha voluto che NAVIGARE LA ROTTA, seconda edizione in 6 mesi, la raccolta di poesie scritte lungo un viaggio mediterraneo avesse la sua prima presentazione a Napoli, dopo quella della prima edizione, a luglio nell’Isola di Ponza durante la rassegna Ponza d’autore, condotta da Paolo Mieli e Gian Luigi Nuzzi. La Neapolis della sirena Partenope, la Neapolis virgiliana dove ho vissuto gli anni tra i più sereni e più belli della mia vita, quelli del Liceo. E dove presentare un libro carico di quel paganesimo primordiale se non alla FONDAZIONE MORRA, al Museo Hermann Nitche. Un tempio pagano dove l’opera di Nitche è carica di quella sacralità dionisiaca e apollinea, che mai ha lasciato la mia religiosità primordiale. Una città Napoli simbolo del Mediterraneo, carica di ogni significato esistenziale ed estetico, del mio viaggiare tra città e lidi mediterranei. Napoli città mediterranea, come Marsiglia, Barcellona, Atene, Tangeri, Istanbul, Palermo.
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Alla deriva
Guardami
guarda quello che non vedi
guardami molto fino all’inferno
con l’incoscienza delle vertigini
allora vedi ĺa casa che abito
la pietra vulcanica e il fuoco a vista
il legno marino che bisbiglia al tempo
le pietre dove i poeti lasciano l’ombra
senti i cavalloni nel sonno la notte
e la memoria del mare
le storie di rotte mancate
terre di nostalgie e rimpianti
la luce del rogo che infiamma
i chiodi della barca che naufraga
bevi il vino che ubriaca
senti il mare e i suoi uomini
le imprese
la voglia mia di stare
come il poeta cieco
così sei la sola
a conoscere il mio nome
a sentire la pietra che sollevai
la pietra che mi trascina
Esilio
per l’altrove
lascio
un’esilio
questo tempo
Mediterraneo
una casa di stracquo
stanco di appartenere
guardo esistere
la vita sola
fedele alla rivolta
Hotel Continental, Tangeri
Non potevo non essere qua
davanti a questa spiaggia
mi duole
la casa che non ho
queste marine di pietre
mi guardano esistere
questa gente
questi miti
smarrimento dovuto
di una vita in rivolta
l’amore non finisce (Bowles)
siamo sempre qui
sopra questo mare
a incontrarci
a pensare cosa fare
in attesa
di nostalgie e rimpianti
Di Ulisse abbiamo
un mare di sirene
scoperta dopo scoperta
è sempre l’antico
la cosa più bella
la malinconia separa
ha radici nell’essenza
E voi
donne Omeriche
di questi lidi
siete voi le Iside
le donne che amo
negli occhi vostri
la ragione mia l’origine
Solo da voi avrei voluto avere un figlio
Tangeri
rifugio di memorie
esilio mediterraneo
dove la vita capita
ed è quello che voglio
Un baule pieno di pietre
A Tangeri
terra senza frontiere
estrema tra due mari
le vite sono al margine
La città mi accoglie
sogno da sveglio
parlo della vita
cosa ne faccio
vivo su per la kasbah
tra le pietre pagane
a cercare la memoria
a entrare nella terra
nel cuore delle parole
Sui davanzali delle finestre
si fermano gli uccelli migratori
i vetri sono rotte
nostalgie di passaggi
vedo palme e barche
cortili in fiore
sento la vita all’ombra
di una luce luminosa
una donna danza
timida e apollinea
rasenta il bianco delle case
avrei voluto baciarla
innamorarsi è un’arte
chi non può, finge.
i bambini sulle strade
stanno a piedi nudi
agiscono nella memoria
hanno il corpo di cielo
il paradiso sta sulla terra (Matisse)
il tempo
dell’innocenza
è la sacra natura
la mia terra il cielo e la casa
l’opera non finita
Nel viaggio
i muri e le strade
intuiscono il destino
un mucchio di pietre
come voglio le cose
uniche e assolute
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