Tra i vicoli mediterranei dell’isola la Madonna del Carmelo

Sull’isola di Ponza, da tempo immemore, nella contrada Parata in via Sindaco De Luca, sopra Piazza Pisacane, c’è un’edicola, ovvero un’effige della Madonna del Carmelo posta all’interno di una nicchia.

Le edicole sono tempietti la cui origine risale all’antico Egitto, ma che si sono diffusi principalmente in epoca greco-romana. Piccole costruzioni caratterizzate da un’architettura essenziale, che riproduce in miniatura la struttura dei templi antichi.

Troviamo edicole sacre o larari già nel V sec. a.C., principalmente lungo le strade o i crocicchi dei vicoli, contenenti immagini e statuette dei Lari, cioè i numi che nella cultura classica proteggevano la casa e la famiglia, oppure degli dei. Attorno a questi larari nascono, nell’antica Roma, delle feste popolari a carattere sacro.

Con la cristianizzazione di Roma e del suo impero, a seguito della diffusione dello stesso Cristianesimo, questi tempietti vengono convertiti al culto cristiano, sostituendo perciò le effigi degli dei pagani con altre di Madonne, di Santi e di Cristi. Così si è perpetuata nel tempo fino ai nostri giorni la tradizione delle edicole e dei loro messaggi sacrali, lungo tutto il Mediterraneo e in ogni luogo appartenuto alla cultura greco-romana.

Permane la presenza delle edicole nei vari quartieri e lungo le strade, sia nelle campagne, sia per le strade del porto. Probabilmente qualcuna risiede dove prima era collocata una di età romana. Queste edicole continuano negli anni ad assolvere la loro funzione sacrale, oltre a costituire la testimonianza della manifesta devozione della gente che vi abita.

E’ così che la tradizione classica ha potuto sopravvivere, seppure in forma mutata, oltre che nei siti archeologici, anche sull’isola di Ponza, dove le varie dominazioni dei secoli scorsi, soprattutto quella inglese, come anche la presenza monastica, hanno distrutto quasi tutti i resti romani presenti un tempo sull’isola.

A Ponza lungo le banchine resistono la Madonna delle Grazie, che accoglie i passeggeri al molo e la Madonna della Civita, che si presenta maestosamente dinanzi alle barche dei pescatori. A quest’ultima è dedicata una delle festività religiose più rilevanti sull’isola, che, grazie soprattutto alle nuove generazioni della contrada degli Scotti (quartiere situato in alto, sopra il porto borbonico), assume tutt’oggi un carattere festivo tradizionale.

Nonostante il passare degli anni e delle generazioni, l’edicola della Madonna del Carmelo o del Carmine, situata in una nicchia dal semplice stile di un’architettura mediterranea che rimanda comunque ad uno stile greco, resiste grazie soprattutto agli abitanti della Parata, figlia di un’antica devozione mariana molto sentita, soprattutto fino agli anni 90, che risale al tredicesimo secolo. E’ così che ogni anno il sedici luglio si tengono, proprio di fronte all’edicola della Madonna del Carmelo, incontri devozionali, durante i quali il tempietto viene illuminato e addobbato con i fiori e la strada imbiancheggiata, mentre la sera la gente prega e intona Inni alla Madonna.

Molti anni fa c’erano anche modesti fuochi d’artificio, le donne preparavano pizze, dolci, bevande e dopo le preghiere si socializzava, raccontandosi storie di vita, futuri sogni e le preoccupazioni di una vita da isolani. Fino agli anni ‘80 partecipavano centinaia di persone da ogni parte dell’isola, soprattutto ragazzi, come testimoniano le fotografie e i racconti della gente.

Antonietta Guarino e il marito Salvatore Rispoli da sempre hanno vissuto alla Parata e sono stati gli organizzatori fedeli della festività; oggi il figlio di Antonietta e Salvatore, Biagio, porta avanti con estrema passione questa tradizione. Ciò gli conferisce l’importanza storica di mantenere e tramandare questa manifestazione popolare di sacralità secolare.

Persino i ponzesi emigrati in America, una volta abitanti alla Parata, seguono attraverso i media questo giorno dedicato alla Madonna del Carmelo, così importante per la loro storia.

La vita nei piccoli luoghi della storia, dove l’uomo è ancora legato a una società generatrice, si manifesta con questo tipo di sacralità; così, alla Parata, ogni sedici luglio, l’uomo dell’isola di Ponza si concede al divino, a un divino che è insieme pagano e cristiano, poiché Ponza è innanzitutto un pezzo di Mediterraneo, una stratificazione identitaria, che dalle sue più antiche colonizzazioni vive mescolando e sedimentando varie culture, tradizioni e religiosità.

Il Mediterraneo, così Ponza, continua a vivere e a tramandare la propria identità, in prospettiva di un domani di esistenze migliori, in una società che cambia, muta e si evolve. E in questo processo, la religiosità, nelle sue diversità, mantiene un suo ruolo, un’importanza necessaria.

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Isole pontine, il mare è un deserto: i pesci sono scomparsi

Riceviamo dallo scrittore ponzese Antonio De Luca e pubblichiamo:

Negli anni 80 Jacques-Yves Cousteau denunciava al mondo: il Mediterraneo sta morendo.

In quegli anni, un’estate ero sulla nave oceanografica Marsili per un progetto CNR, Università di Napoli Facoltà di Geologia. Si studiava e cartografava lo schema morfobatimetrico e strutturale fuori al golfo di Taranto e la piattaforma continentale. Ci affiancava in questo progetto l’Istituto Universitario Navale con la nave Dectra.

La Marsili navigava nel basso Mediterraneo e nel mar Ionio. Al progetto del CNR partecipano anche alcuni geologi e biologi marini della Università di Perpignan in Francia, amici e collaboratori di Cousteau nelle sue ricerche nel Mediterraneo con la famosa Calypso.

Con questi mi intrattenevo durante la preparazione della spedizione, a Napoli presso l’Istituto Universitario Navale, per discutere le problematiche che il mare ci poneva dopo le ricerche e le affermazioni di Cousteau.

Nonostante il mio primo interesse fosse la Geologia strutturale, mi interessava molto parlare con i biologi del pericolo che il Mediterraneo stava per correre. E poi per me Jacques-Yves Cousteau era un Mito.

Il Mediterraneo non è altro che un grande lago mi dicevano, con tutte le problematiche che questo comporta. E già allora avanzavano le ipotesi riguardanti il riscaldamento marino e il prelievo continuo e indiscriminato delle specie ittiche da parte dell’uomo, nonché dell’inquinamento.

In quegli anni i fiumi scaricavano a mare veleni di ogni specie. E poi c’erano le centrali nucleari che davano molte preoccupazioni alla comunità scientifica.

Inoltre il Mediterraneo era solcato da petroliere che inquinavano le coste con i loro scarichi bituminosi.

Oggi per fortuna questo non avviene più e le centrali sono chiuse, ma sulla loro sicurezza molti dubbi e preoccupazioni rimangono.

Parlammo soprattutto della diminuzione della capacità del mare di produrre pesce quando vengono a mancare le condizioni necessarie; problematica che riguardava tutti gli oceani e quindi tutti i popoli che sulle rive di questi vivono e si sfamano.

Su queste argomentazioni lo stesso Folco Quilici, assiduo frequentatore delle Isole Pontine, condivideva pienamente l’impoverimento del Mediterraneo ed esternava le sue preoccupazioni. L’impegno di Quilici fu costante in tutta la sua vita per la salvaguardia della cultura sul mare.

A questi due grandi ricercatori e viaggiatori, negli anni si aggiunsero scienziati, navigatori solitari e poi enti governativi e non, tra cui tutte le associazioni ambientaliste, e naturalmente gli Istituti di ricerca di tutto il mondo.

In questi ultimi 20 anni ho parlato con i pescatori incontrati lungo le rive mediterranee, da Istanbul al Pireo, da Marsiglia a Napoli e alla Croazia, passando per le coste dell’Africa mediterranea e non solo. All’unanimità una sola preoccupazione attanaglia questi uomini: “ Il mare non è più come prima, il mare si impoverisce e non ci dà più da vivere, e anche noi ci impoveriamo, moriremo poveri, noi e il mare”, mi disse un vecchio pescatore sul porto di Istanbul.

Negli ultimi anni ho concentrato la mia attenzione sulle Isole Pontine, visto che qui ho vissuto i primi anni della mia vita, e qui son tornato a vivere, ma non so più se sia stata una buona scelta.

Ogni primavera, che poi è la stagione più pescosa, parlo con gli ultimi pescatori rimasti. Sono alcuni di loro che mi cercano per esternare le loro preoccupazioni e la loro rabbia, visto che da sempre sono persona impegnata nelle associazioni ambientaliste.

Mi confronto con i vecchi (tra questi mi ci metto anch’io) e nuovi pescatori subacquei, con i responsabili dei vari Diving, e con gli amici fotografi subacquei che d’inverno viaggiano anche per i fondali del mondo.

I responsabili dei Diving preoccupatissimi denunciano: portiamo la gente nei fondali a non vedere niente. E negli ultimi anni anche con il gruppo di carabinieri subacquei mi confronto e ascolto.

Questi, con grande responsabilità e soprattutto professionalità, ma anche attaccamento ai propri principi (questo mi allieta non poco), monitorano non solo i siti archeologici subacquei, ma anche i fondali e gli ambienti marini intorno alle pontine.

Il quadro della situazione dei fondali marini che questi uomini mi raccontano è allarmante e preoccupante. Un ambiente devastato.

Vengo a sapere anche da loro, che vanno ben oltre i 50 metri, dell’enorme quantità di reti abbandonate nei fondali che continuano a pescare. La quantità sempre minore di ogni presenza ittica dalla battigia fino a fondali in cui la luce del sole arriva, che poi sono i fondali con più presenza di interventi antropici. E oltre a questo si aggiungano aree di fondali con concentrazione di rifiuti umani, tra cui naturalmente la plastica.

Nino Baglio, insieme a Giuseppe De Luca, Gavino Pino, Cesare Sandolo, è uno dei primi subacquei negli anni ‘60. Si forma alla scuola di Raimondo Bucher, Bruno Vailati, Silverio Zecca.

Con Nino Baglio condividiamo le stesse preoccupazioni e la stessa sofferenza a vedere un mare deserto. Nino è molto preoccupato, direi avvilito nel vedere quel mare una volta così ricco, ora desolato, deserto di vita.

Il mare delle pontine ora ha ben poco o quasi niente da offrire. Questo è da spiegare anche col fatto che le pontine stanno sul bordo della fossa tirrenica e la piattaforma continentale è troppo stretta e piccola da permettere una grande quantità di presenza ittica, e un ripopolamento continuo, se il prelievo non rispetta i tempi di riproduzione.

Praticamente si pesca di più di quello che il mare può dare. Inoltre è esagerata la quantità di barche da pesca che vengono dal continente, sia dalla regione laziale che campana.

Il mare non riesce a equilibrare la sua naturale vita biologica. Troppo prelievo forzato in un ambiente piccolo sia pure una volta pescosissimo. Quindi tutto lentamente si sta consumando.

Anche i subacquei, e ogni persona a cui piace ammirare la vita marina dei fondali di Ponza, Zannone e Palmarola, mi dicono che il mare intorno alle isole pontine è costellato da reti abbandonate che continuano a pescare. Nei fondali ci si trova di tutto.

Ci sono località dove ci sono non più banchi di posidonie ma banchi di immondizia.

Alcune specie di pesci stanno scomparendo dai bassi fondali, come le cernie, pezzogne, ghiozzi e saraghi.

È saggio ed è bello ascoltare il vecchio pescatore, Silverio Silvestri, a cui mi lega una profonda stima. Ha oltre 70 anni. Ha conosciuto e vissuto il Mediterraneo dalla Corsica alla Tunisia. La sua è una vita sul mare. Uomo d’altri tempi, uomo antico di belle virtù. Un’altra cultura, un’altra coscienza, un’altra razza.

Sembra venire dai libri di Esiodo e di Omero. Ora si diletta a insegnare a qualche giovane pescatore quel mestiere che è tra i più antichi dei mestieri: la pesca.

La sua è una forte denuncia: non ci sta più niente, i giovani pescatori saranno costretti a cambiare mestiere, non ci sono neanche più i soldi per pagare le tasse e i contributi. Ogni anno è sempre peggio.

Il mare si è svuotato. E negli ultimi anni anche i turisti iniziano a lamentarsi ma qui non si vede un pesce. All’unanimità tutti danno soprattutto la responsabilità alla pesca intensiva, ai mancati controlli negli anni e non solo, al non rispetto del mare e alla sua fragile esistenza in un mondo antropico sempre più aggressivo e con regole spesso approssimative e poco qualificanti, e a dir poco irresponsabili. E poi tutti dicono che manca un vero controllo in mare da chi è preposto. Un controllo continuo ed efficace con pene certe per chi infrange la legge o inquina.

Gli amici fotografi nelle loro passeggiate sui fondali marini mi descrivono un quadro allarmante sulla presenza di reti abbandonate e l’assoluta mancanza di pesci e crostacei fino ad una profondità di 50 metri. Un mare una volta ricco di aragoste e granseole, mormore e saraghi, ed ogni specie di pesci, ora un deserto biblico.

I labridi, che ravvivano con i loro colori le battigie e le scogliere sono i più indifesi e quindi sono totalmente scomparsi. Anche gronchi e murene, sciarrani e cefali, scorfani e soprattutto polpi e seppie una volta abbondanti fino alla baia del porto, ora si contano in poche cifre. E anche il pesce azzurro, una volta copiosissimo, ora in tutto il Mediterraneo ha diminuito di molto la sua presenza.

L’attore responsabile di questi disastri non è che l’uomo e la sua ingordigia, l’incapacità di gestire un patrimonio così importante per la sua sopravvivenza. La sua irresponsabilità e una non adeguata conoscenza. Un’assenza totale di una cultura naturalistica di chi deve gestire l’interesse della collettività e del bene comune.

La catena alimentare nel tempo si è interrotta e ha provocato il suo squilibrio. Nino Baglio nelle sue passeggiate subacquee racconta di itinerari nostalgici.

A sud di Ponza nelle vecchie tane di cernie il paesaggio è un paesaggio di un’architettura decadente, racconta Baglio. Un’assoluta mancanza di vita, con reti abbandonate spettrali.

Negli ultimi 10 anni alle isole pontine abbiamo assistito ad una moria di ostriche, arche di Noè, limoni di mare, pinne nobilis, e altri bivalvi, tutti organismi che vivono filtrando l’acqua. Fino agli anni ‘90 i fondali bassi davanti alle spiagge offrivano vari tipi di vongole, vermi, lumache di mare e granchi, che ora non si trovano più.

Cosa accomuna l’impoverimento di queste specie? Dalla Spagna gli scienziati parlano di un parassita che indebolisce gli organi. Ma perché succede tutto questo? L’uomo in massa ha invaso un ambiente che non gli compete.

Le patelle sulla battigia riescono a sopravvivere ancora per poco; queste si cibano di piccole alghe attaccate allo scoglio, ma il loro prelievo, sconsiderato da parte dell’uomo, provoca scogliere morte già ai primi centimetri della battigia.

La pressione sul mare e la sua vita da parte dell’uomo è incontrollata. A questi motivi si aggiunge che, come tutti sappiamo, ci sta anche una pesca con autorespiratori che provoca un vero disastro ambientale. Questa pesca è severamente proibita, ma avviene lo stesso e lo Stato non ha mai organizzato veri controlli.

A causa di questa pesca illegale, sono le indifese cernie ad essere state distrutte, mi dice Cesare Sandolo, anche lui un vecchio pescatore subacqueo, quasi pentito.

L’uomo con i suoi modi di vivere il mare ha provocato un ambiente povero di vita, ha indebolito gli organi delle specie viventi e le loro difese immunitarie. I pesci e tutto ciò che il mare offriva vengono a mancare e di conseguenza un adeguato sostentamento nutritivo all’uomo.

Alle isole pontine non rimane, allora, che creare delle aree marine di ripopolamento in cui la vita marina può riprendere il proprio processo biologico e ritornare ad un auspicato equilibrio nell’interesse di tutti, soprattutto anche per la pesca; aree di ripopolamento ittico gestite dallo Stato ma con la partecipazione dei pescatori, associazioni ambientaliste ed enti scientifici. Così come è avvenuto per le reti derivanti giustamente abolite, ed ora il mar Mediterraneo brulica di nuovo di delfini, tartarughe e cetacei.

Bisogna che le autorità competenti intervengano urgentemente alla salvaguardia del mare e dei suoi abitanti con leggi severe e un monitoraggio continuo da parte delle autorità preposte.

Bisogna che ci sia una maggiore democratizzazione dei territori e questo non da tutti gli Stati del bacino mediterraneo è stato fatto in buona fede. Gli Stati del Mediterraneo devono avere un’organizzazione loro a prescindere dall’Unione europea.

Le necessità del Mediterraneo sono ben altre. Non sempre sono quelle che le lobby di Bruxelles vogliono farci credere. Predrag Matvejevic lo scriveva già in tempi non sospetti. Sappiamo che Platone suggeriva che i poeti vedono lontano.

Bisogna che le associazioni ambientaliste, come Marevivo e Legambiente e tutte le altre, riprendano il loro ruolo culturale e sociale, che la politica si assuma le proprie responsabilità. Solo nell’interesse di salvaguardare questa terra e chi la abita.

All’uomo tutto è stato dato solo in prestito. Quest’uomo è anch’egli uno dei tanti appartenenti al processo creativo dell’universo e non è padrone di niente. Niente appartiene a nessuno. L’uomo è ospite di madre terra. La cultura antica precristiana e i nativi americani hanno ancora ragione e molto da insegnare.

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La mia balenottera comune mediterranea era sacra agli Dei

La conoscenza e il rapporto, sia letterario, naturalistico e direi anche metafisico con i cetacei, iniziò con la mia prima lettura di Moby Dik. Dico prima volta, perché sono alla quarta lettura, ed ogni volta mi appaiono nuovi scenari. Avevo circa 6 anni quando vidi la prima balenottera soffiare sulla rotta Napoli Cagliari. Mio padre in estate ci portava a navigare con lui. A 10 anni stravedevo per Conrad, poi venne Melville ed Hemingway e le storie dei miei nonni, capitani di bastimenti sulle rotte mediterranee. La balena da alloŕa entrò nella mia vita. Si fece metafora e mito di una esistenza da viaggiatore letterario e non solo. La letteratura sudamericana di Francisco Coloane mi ha accompagnato nel mio primo vagabondare, tra mari tempestosi, cacciatori di balene e gente che vivono ai margini della terra, dove più lontano non si può.. A Lisbona conobbi Paul Watson, l’ambientalista canadese fondatore di Sea Shepherd, l’organizzazione mondiale che con la sua flotta difende le balene dalla caccia nei mari di tutto il mondo. In quell’evento conobbi anche una organizzazione ambientalista spagnola che agiva nel Mediterraneo durante gli anni più difficili per questo mare. Erano gli anni delle reti derivanti, che provocarono la grande macelleria dei cetacei. In Italia collaboravo allora con le associazioni ambientaliste Marevivo e Legambiente, e a Ponza non ebbi pochi problemi. Tra minacce varie e pedinamenti ero costretto ad agire a volte come un partigiano. Una amica spagnola mi chiamava in quell’estate el partidario de las ballenas. Un giorno mi arrivò in un pacchetto persino una cartuccia da fucile da caccia. Fui anche minacciato che mi avrebbero incendiato casa se non l’avessi smesso con quell’ambientalismo.

In quell’anno era morta al largo di Ponza una balena avvolta in una rete derivante. Ero arrivato a conoscere, la barca e i responsabili involontari di tale episodio. Mi interessava fotografarla, e denunciare alla stampa e ai media tutti il caso, ma la sua carcassa fu riempita di pietre e affondata a poche miglia a sud dell’isola di Ponza. Con l’aiuto dell’organizzazione ambientalista spagnola Oceanaria, tramite una rete satellitare, riuscimmo con la mia amica spagnola ad avere la approssimata posizione del luogo del misfatto. Una volta arrivati sul posto con il catamarano di Oceanaria non fu avvistato nulla, se non uno stormo di gabbiani fermi sull’acqua. Quell’anno in inverno partii per l’Argentina, volevo raggiungere la Penisola di Valdes e dintorni, per andare a fare visita a quei mari. Ma soprattutto per avvistare la balenottera azzurra, la preferita di Francisco Coloane. A Buenos Aires feci un corso presso un Istituto Statale per avere un giusto e sano comportamento nell’avvicinamento ai cetacei e fotografarli. Non potevamo avvicinarci a più di 100 metri, in quanto la balena azzurra in quei mari nuotava con i cuccioli. Ma problemi familiari mi costrinsero a interrompere d’improvviso il mio viaggio e dovetti fare ritorno a Ponza. Era il mese di febbraio del 2006.

Ritornato a Ponza, un pomeriggio mi trovavo nella mia casa-rifugio di Punta Fieno a sud dell’isola, dove amo coltivare la vigna. Quando improvvisamente il contadino Liberato Mazzella chiama la mia attenzione a guardare il mare sotto casa. Ebbene ad un centinaio di metri dalla scogliera sotto casa, apparvero due balenottere comuni mediterranee. Stavano sotto casa mia, nuotavano nei paraggi, sentivo bene il loro nuotare e i movimenti della coda sul mare. Ma soprattutto sentivo il loro respiro. Riuscii a fotografarle. Per circa mezz’ora le due balene stanno nel mare antistante la casa-rifugio, poi si diressero a mezzogiorno dell’isola di Palmarola. Forse era una madre con il figlio, viste le dimensioni delle due. Mai un cetaceo di quelle dimensioni si era avvicinato così tanto alla costa dell’isola di Ponza. Nessun pescatore anziano, da me intervistato in quegli anni, mi disse che era stato a conoscenza di un simile avvistamento. Cosa mi avranno voluto dire quelle due balene a pochi metri dal mio pensatoio. Perché proprio a me e in quell’anno?

Passarono circa due giorni quando l’amico Salvatore Perrotta, in una sua passeggiata sulla spiaggia di Chiaia di Luna, mi dice di aver trovato i resti di una balena. La parte finale della colonna vertebrale avvolta nei resti della pelle. Ci recammo subito insieme sul posto. Il nostro primo pensiero ci rimanda all’estate precedente. A quella balena affondata che io cercavo di fotografare. Allora ci organizzammo per trasportare quei resti alla mia casa rifugio. Visto il peso e le dimensioni, dovetti tagliare quei resti a due vertebre alla volta. Trasportai sopra l’asino quelle vertebre fino alla casa-rifugio. Li li lasciai alcuni anni legate ad un palo ad asciugare. Le vertebre ancora avvolte tra pezzi di cartilagine, ma anche tessuto carnoso, lasciarono cadere grasso per molti anni, prima di asciugarsi definitivamente. La terra sotto di essa diventò nera. Ora in quel posto ci ho messo una campana che il vento fa suonare a ricordare quella balena. L’idea la ebbi a Valparaiso in Cile facendo visita alla casa-museo di Pablo Neruda. Il poeta fuori casa aveva messo una vecchia campana di una nave naufragata, che il vento dell’oceano faceva risuonare. A questa storia vera si possono dare tante spiegazioni e immaginare tutto e di più.

A me rimane il suono di quelle balene sotto casa. Cosa avranno voluto dire quelle due balene? Forse a chiedermi di dare una sepoltura a quella loro compagna morta l’estate precedente, a cui legai il mio impegno alla lotta per la loro protezione. Voglio pensare come quei popoli ai margini dei continenti nel mondo, dove le balene hanno una casa, in quei luoghi che non sono segnati su nessuna carta, come ricorda Melville. Le balene hanno un’anima e il loro spirito vive anche dopo la morte. Lo spirito di quella balena ora continua a vivere e mi fa compagnia nella mia casa-rifugio sulla scogliera davanti al Mediterraneo, e questo luogo è diventato anch’esso un luogo non segnato sulla carta. Le balene di tutto il mondo sono sacre, sono care agli Dei. E grazie a quelle due balenottere comuni che vennero a chiamarmi, la mia casa-rifugio appartiene alle balene di tutti i mari. Li si conserva il loro spirito.

Libro consigliato: Il naufragio della baleniera Essex di Owen Chase

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I bambini ci guardano

I disegni dei bambini

Nel 2018, di questi tempi, scrivevo alcune riflessioni sull’aspetto prettamente religioso della festa patronale di San Silverio nell’isola di Ponza, con un articolo dal titolo “Chi ha ucciso San Silverio”. Nello scrivere quanto a tutti era evidente, non volli scomodare i padri della Chiesa né la storia né soprattutto la filosofia. Non era mio intento dilungarmi in uno scritto di teologia o filosofia. Forse un giorno lo farò. L’ articolo ebbe molto clamore, tanto che ancora oggi, dopo un anno, qualcuno ne parla e mi chiede. Ma soprattutto l’articolo ebbe un grande consenso. Qualcuno, soprattutto gli anziani, vennero a congratularsi con esternato affetto. Per le strade del paese incontravo un consenso quasi generale. Solo l’autorità ecclesiastica manifestò dal pulpito il suo dissenso, in modo abbastanza sconclusionato e senza una manifesta ragione, dimostrando così un approssimata conoscenza teologica, nell’amministrazione della liturgia cristiana. E anche quest’anno, nel 2019, la Chiesa di Ponza, ha continuato a manifestare il puro aspetto religioso e intimista, in una apparente rappresentazione teatrale di memoria borbonica, come ho avuto modo di dire e scrivere altre volte. Inoltre ogni anno, la processione dell’amato Santo ha sempre meno presenze. E a dire di molti fedeli, e non solo, mai come quest’anno si è vista così poca gente accompagnare il Santo per le strade di Ponza. Qualche motivo ci sarà pure! Qualche motivo che fa riflettere. Da poeta-veggente qualcuno potrebbe sentenziare: tra dieci anni, o un tempo non troppo lungo, il tutto o in parte potrebbe scomparire. Si rischia la scomparsa di un aspetto religioso che ha avuto la sua importanza nella storia dell’isola. L’etica che la realtà deforma a propria immagine e somiglianza a lungo termine porta prima a disastri poi ad una morte sociale e culturale di una comunità. La progressiva perdita di una identità per un popolo è causa di perdita anche di un sentimento religioso e umano.
Ma quest’anno tra i tanti eventi artistici, anche ben riusciti, un evento in particolare, sempre inerente ai festeggiamenti del Santo Patrono, ma fuori dall’ aspetto religioso, mi ha favorevolmente impressionato. Anzi direi mi ha entusiasmato per la sua purezza culturale e artistica. E questo evento molto mi ha fatto pensare. Sono ormai quattro anni che la scuola elementare di entrambi i plessi di Ponza espone in piazza Sant’Antonio, le opere d’arte dei bambini. Disegni su semplici carta con tecniche miste; tutto organizzato da Polina Ambrosino, una maestra da sempre molto impegnata dentro e fuori la scuola. Negli anni addietro ebbi varie esperienze simili in alcuni musei a Barcellona, Buenos Aires e Lisbona. Incontravo classi di bambini sdraiati a terra con gli occhi chiusi. Le maestre mi dissero che stavano sognando, per poi disegnare e colorare i loro stessi sogni. Attesi le loro opere finite. Il giorno dopo mi recai a quella esposizione. Intorno alle opere di Salvador Dali, trovai i disegni di quei bambini. Pensai a quei contenuti così espressi, come a un surrealismo infantile, un pensiero arcaico con linee di un’arte pseudo-paleolitica, linee rivolte verso il cielo, che guardano gli astri. La meraviglia aristotelica! Rimasi molto colpito da tanta espressività e profondità di linee e di colori accesi. Barche e cavalli, case e mamme assumevano forme somiglianti a nuvole ed angeli. Linee ribelli di un immaginario tribale. Una irrealtà prenatale a simboleggiare l’amore e la purezza ancestrale. Una poesia del fanciullino pascoliano, ma anche della poetica simbolista portoghese, visto che mi trovavo a Lisbona. In questi giorni a Ponza i bambini, così ben organizzati dalla maestra Polina, mi hanno trasmesso simili sensazioni, ma allo stesso tempo, una particolare felicità nel guardare tali opere. Io e questi bambini apparteniamo alla stessa terra, anche io fui uno di loro. Immaginavo una realtà, sognavo una realtà che col tempo mi avrebbe tradito, o meglio ancora, uomini ben identificati avrebbero tradito quella realtà.
I bambini di Ponza nei loro disegni hanno immaginato paesaggi dalle linee armoniche, quasi silenziose. Hanno disegnato case dai colori dell’ arcobaleno con i tetti sotto le stelle. Nel mare hanno disegnato pesci dall’aspetto umano e gli hanno dato un ‘anima. Tanti pesci nuotano sotto colorate vele triangolari. Le verdi e gialle colline stanno a circondare le poche case. Un porto col mare trasparente che protegge piccole barche con vele colorate. La luce del giorno che abbraccia quella della notte. Ogni linea è la curva di una nuvola. I bambini di Ponza hanno sognato spiagge che non hanno. Hanno colorato fondali che non conoscono. Un sole con labbra rosse e occhi allegri sopra un mare capovolto. Gabbiani come Albatros di tempeste che annunciano scenari immaginari. Gabbiani e rondini portatori di sogni. Gli uccelli sopra il cielo di Ponza, hanno gli occhi dei bambini che ci guardano dall’alto. Le case piccole e colorate unite tra di loro a proteggersi dal tempo e dalle paure di una esistenza a venire. L’isola nei sogni dei bambini di Ponza ha la forma di una nuvola. Ha i contorni illuminati dalla luce dei loro occhi. Ha la voce dei loro pensieri sussurrati durante i loro giochi. Le scogliere disegnate con forme cubiste, come schegge di un mondo amato, a cui desiderano dare un nuovo ordine. Spesso in un mare blu picassiano. Gli elementi disegnati al minimo forse denunciano una decadenza del mondo che i loro pensieri a volte impauriti possono intravedere. Non hanno disegnato macchine, gru e grossi camion, non hanno disegnato brutte case e cumuli di rifiuti abbandonati né Santi ingioiellati con sfarzosi cortigiani. Per loro esiste solo la bellezza del puro, e un’isola di sogni e di gioie, dove immaginano di vivere.
I bambini di Ponza mi fanno nascere un’idea, su cui riflettere: e se li mettessimo ad organizzare la processione di San Silverio? E perché no, vista questa realtà, diamogli la gestione e l’organizzazione dell’isola e della precaria vita degli adulti. Ho sentito questo dal mormorio di quei turisti, ospiti sull’isola, che insieme a me guardavano le opere dei bambini. I bambini di Ponza sono tutti dei piccoli grandi sognatori perciò sono artisti, sono pittori e poeti. Un giorno l’isola sarà abitata da loro. Proteggiamoli!

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Non posso che abitare in un’isola

non posso che abitare in un’isola
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Di là dal fiume e tra gli alberi

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Puntata numero 17 – L’isola di Ponza

La puntata intera è visibile su Rai Play

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Solo i mediocri hanno una vita. E se hanno inventato le biografie dei poeti, è per supplire alla vita inutile che non hanno avuto.
Emil Cioran

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Moni Ovadia

A Brera

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A Mauro

È morto un’artista. È morto il nostro compagno Mauro.
Gli artisti sono come gli angeli.
Una comunità per vivere felice ha bisogno degli angeli. Oggi senza Mauro siamo più soli ed è meno serena la nostra mente e la nostra coscienza.
È morto un piccolo-grande maestro d’ascia, così il cielo ha deciso. È morto un uomo dal grande cuore e dall’anima candida.
I suoi occhi dal colore turchino del mare ancora ci guardano e chiedono compagnia, sostegno, amicizia. Mauro aveva gli occhi e le mani come lo strumento sacro del grande artista. L’arte marinara gli stava nel sangue. Le sue mani tagliano il legno come lo scultore il duro marmo affinché duri per l’eternità, con la grazia e l’armonia dei costruttori di navi dell’Ulisse omerico o della baleniera di Moby Dik.
Le mani sapienti del piccolo-grande maestro d’ascia attraverso quelle barche ora solcano i mari di quest’isola. Il mare in eterno conserva la memoria di Mauro.
Mauro ha combattuto le grandi tragedie della vita, l’abbandono, la solitudine della mente, la perdita degli affetti e soprattutto quello della sua cara madre. La solitudine si impadronì di lui né fece il suo martire, lo trascinò nel baratro della vita, e come gli artisti visse la sua angoscia di esistere in un mondo che più non gli apparteneva.
Carissimo amico, carissimo Mauro, piccolo-grande maestro d’ascia, vivrà la tua ombra, la tua memoria in mezzo a noi. E i tuoi grandi occhi dal colore del mare antico saranno sempre lo specchio della nostra piccola comunità.
L’uomo è fatto della memoria che porta, della memoria che lascia e tu lasci profondi solchi sulla terra che ti generò e che amasti. Tra queste strade, tra questi vicoli e piazze, spiagge e banchine, rimane la tua voce la tua anima buona del piccolo-grande maestro d’ascia, della vita che vivemmo insieme. Applaudiamo la vita magnifica del compagno Mauro.

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Ho una sola patria, il Mediterraneo che scrivo.
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