L’anno 2020 verrà ricordato dall’isola di Ponza come il primo nella sua storia, quando il 20 giugno, ricorrenza del santo patrono San Silverio, ci sarà l’assoluta assenza di ogni festeggiamento in onore del santo.
Tutto è sospeso in un assordante e triste silenzio.
Considerata la grande tragedia umanitaria che il mondo sta vivendo, condivido questo momento e ne faccio motivo di pensiero e riflessione.
Ma voglio anche dire che una grande tristezza sembra attanagliare la popolazione dei fedeli e non solo.
Parlando con amici di questo triste e preoccupante tempo che l’umanità vive, mi vengono in mente vecchi ricordi di emozioni vissute in questi giorni di festa e riflessioni si aggirano inquiete per la mia memoria.
I San Silverio che ricordo e mi appartengono, sono immagini di memorie lontane, fuori da questa imperante realtà dell’oggi e degli ultimi anni.
Questa realtà che oggi tutto vige, domina e ammalia, è a mio avviso distruttiva e nichilista. È questo un tempo fuori da ogni ragione critica.
Una realtà che fa pensare e riporta ad un’ancestrale memoria, ad un’etica e ad una religiosità vissuta nel dopoguerra e oltre, dalla mia generazione e non solo.
Uomini di mare e di ogni ceto sociale che abitavano un’isola martoriata dalla guerra, ma che sempre esprimeva una certa dignità, una sua cultura, un suo essere sociale e umano.
Un’isola che navigava per il Mediterraneo, e si nutriva della sua cultura millenaria.
Di questa triste e volgare realtà dell’oggi, personalmente non ho nulla a che fare e condividere, né mi mischio a servi e padroni d’occasione.
Preferisco ad essa, una vita in disparte da tutte le forme di religiosità, che siano solo apparente festosità, quasi sempre legittimatrici di ogni eccesso, eticamente ed esteticamente degradanti, naturalmente prive di ogni dimensione religiosa e culturale.
Un bordello allargato mi verrebbe da pensare, un carnevale fuori luogo.
Il mio San Silverio, ma preferisco semplicemente Silverio, rimane un uomo diverso da quello che oggi viene rappresentato e voluto da questa chiesa e popolazione nostrana evidentemente in crisi, e non solo di valori morali, naturalmente con grandi eccezioni.
Una chiesa che dà l’idea di un abbandono materiale e spirituale.
Una comunità isolana nella sua grande maggioranza allo sbando in tutte le sue forme.
Silverio, un uomo semplice, arrivato al potere papale di Roma che, in un momento storico ben definito, per assoluti motivi politici (e quanti uomini nel mondo di oggi e di sempre, per motivi politici vengono zittiti e mandati in esilio), viene inviato a Ponza, dove, come dice la storia, viene fatto morire di fame e il suo corpo scomparire e nulla più si sa.
Praticamente un desaparecido dell’antichità: chi fa pensare fa paura ai poteri.
Che triste destino queste isole nel mondo. Le isole dove la vita è cresciuta e si è evoluta, sono fatte dal potere di sempre, luoghi di esilio, di privazione e di barbarie.
Questo Silverio, privo di ogni libertà, vissuto in esilio, in preda a malattie e fame, e soprattutto a solitudine e abbandono, mi affascina, mi è amico e maestro, ma soprattutto mi fa riflettere.
Di questo Silverio uomo e peregrino, ne faccio un simbolo di vita, che ha molto da dire e da insegnare. Un uomo a cui viene tolta la libertà e muore privo di ogni diritto.
Questo Silverio laico a me piace molto, e allora spesso mi faccio accompagnare intorno alla terra, nelle viscere dell’ignoto e nel pensiero indomabile.
Silverio lo posso pensare come la dea Atena omerica, colei che accompagna e protegge nel viaggio Ulisse. Noi ulissidi moderni, vissuti anche e soprattutto tra le gioie della libertà e delle bellezze che le isole offrono, ma anche spesso ulissidi naufraghi che vivono in una lentezza di esistenze di solitudini e spesso di dolore, come la vita pretende. Soli col mare intorno e destinati ad un perenne non sempre dolce naufragare.
Quale uomo prende Silverio come compagno nel suo cammino? È l’uomo pavesiano destinato ad una vita di solitudine. È l’uomo camusiano che trova nella sua voglia di libertà, è questo il suo destino (Camus), l’inesorabile inferno della solitudine e del dolore di una vita spesso di lotte.
Silverio è il compagno di un uomo che vive di sacrifici, che lotta per esistere e per liberarsi.
È bello pensare ad un Silverio che naviga con me sopra una barca fatta di rocce, di città e paesi, che vanno alla deriva sopra un mare chiamato destino, e che aiuta a navigare a vivere a sperare.
Silverio è così. È il compagno francescano, così come è ben rappresentato sotto la croce con San Francesco, sull’altare della chiesa a lui dedicata nella città di Bologna.
Silverio e il poverello d’Assisi, due uomini per tutti. Entrambi possono essere i compagni di laici, atei, poeti e filosofi, religiosi e uomini di ogni fede e credo.
Ho sempre considerato l’etica al di sopra della sfera fideistica. Ma un Silverio, come oggi viene visto vissuto e rappresentato, sicuramente non appartiene né a chi lo mise a fianco di Francesco d’Assisi, né tanto meno a me e a quanti hanno e vivono una religiosità fuori dalle circostanze di una fede giustificatrice, priva del minimo senso di ragione.
Né appartiene ad una forma di paganesimo o cristianità evangelica. E questo fa riflettere in una società dove si perdono ogni giorno idee e pensieri per un mondo migliore.
Forse le vite dei Santi, che dovrebbero far riflettere, come quelle dei filosofi e dei poeti non bastano più a suggerire e consigliare. Si preferiscono quelle dei banchieri, della finanza falsamente risolutiva.
Ma un piccolo evento quest’anno a Ponza mi ha colpito positivamente, e mi ha fatto molto pensare, anche con un certo inatteso entusiasmo.
Amo e vivo di arte, è l’arte in tutte le sue forme che mi fa vivere. Una forma d’arte che non mi aspettavo ho incontrato per strada sulla rena della spiaggia del porto. Forse esiste ancora un Silverio che resiste e fa riflettere, ho pensato. Un Silverio che, oltre a chiedere preghiere, chiede qualcosa di altro.
Oggi più di prima, non basta solo pregare, come ben rappresenta il cineasta cileno Aldo Francia nel 1971 con il film “Non basta più pregare” ma anche l’apostolato del gesuita Bergoglio, salito inaspettatamente a capo della chiesa cristiana, che predica l’agire.
Come mi spronava negli anni del collegio barnabita un altro gesuita, l’allora cardinale Martini, che spesso ebbi come padre spirituale. Mi entusiasma artisticamente l’opera di Francesco Ambrosino.
Francesco dalla sua giovane età ripensa a immagini di un Silverio umano e terrestre, ancora pensatore che giudica e ammonisce.
I Silverio di Francesco disegnati e scolpiti con uno spirito profondo e una lucida mente di chi sente e deve dire qualcosa. Un pensiero sicuro e potente, prova di una coscienza profonda.
Il Silverio di Francesco ha tratto essenziale, quasi come versi ungarettiani. Questi Silverio pongono Francesco alla sua prima rappresentazione pubblica e dimostrano che l’autore è un artista libero alla ricerca di
un pensiero puro e primitivo, rivoluzionario come un artista deve pensare ed essere. Un artista a cui consiglio di intensificare e promuovere la sua arte di strada, e non solo a Ponza.
Francesco colloquia con Silverio e, da questo intimo dirsi, restituisce l’origine e l’essenza del Silverio uomo, primitivo e vero.
È un Silverio che rimane nella nostra memoria, che persiste e medita in un’etica che oggi va scomparendo e più non ci appartiene, ma che ancora protegge e fa riflettere sul destino dell’uomo. Un uomo solo, esiliato, fuori da ogni potere, fuori da ogni classe e divisione di una società che lui sicuramente non pensava né auspicava.
Il Silverio di Francesco Ambrosino, così come il Silverio dell’artista Umberto Berrino, è un uomo vicino a noi, uguale a noi, che ammonisce e predica, un uomo fatto santo che incalza la realtà e che ai miracoli crede poco.
Un Silverio che predica un altro tipo di amore, altra fratellanza, una giustizia e una libertà. Una libertà da condividere per il bene comune, davanti ai sogni e alle tragedie della vita.
Come un poeta ispirato solo dal suo demone, Francesco regala attraverso linee e un disegno apparentemente disfatto, sopra materiale da recupero, trovato ai bordi del dimenticatoio, immagini di un Silverio vero, originale, primitivo, che parla, che dice qualcosa.
Sicuramente questo Silverio, così visto dall’artista Francesco Ambrosino, è un uomo che può appartenere e non lascia indifferenti.
Francesco pone un grande cuore all’immagine del Santo Silverio, lo fa risorgere, lo pone tra la gente, gli ridà l’autorevolezza del verbo. Mi piace al di là del suo essere stato dichiarato santo.
Condivido con questo Silverio la presenza, la solitudine e le difficoltà di un mondo che ancora divide in buoni e cattivi, in poveri e ricchi, che porta miseria e guerre. Un mondo dove gli uomini ancora annegano in mare per fuggire dalla fame, dalle guerre e dalle dittature, non solo politiche ma soprattutto economiche.
Uomini che vanno in esilio anche solo per resistere. Uomini che fanno fatica a vivere, privi spesso di gioie e fortuna. Un mondo alla malora che non appartiene né a me, né a Silverio, né a Francesco.
Francesco ha scavato nel suo io, nel suo baule di memoria, e ha scoperto una nuova meraviglia, una bellezza inconsapevolmente aristotelica, la figura di un cielo di stelle, dove incontra un uomo che non rinuncia ai suoi sogni.
“Il bello è la prima manifestazione di Dio” (Plotino). Le figure che lui disegna tra un rock duro e romantico, con spunti di jazz e un barocco volutamente decadente, consegnano a chi guarda un San Silverio amico e compagno di cui abbiamo bisogno per riflettere.
I suoi occhi a volte guardano verso il basso, sono occhi chirurgici, rivoluzionari, ammonitori. Altre volte fissano chi guarda e chiedono risposte.
Gli occhi dei Silverio di Francesco vanno direttamente intorno all’anima, allo spettacolo più grandioso del mare e del cielo, pensando a Victor Hugo. Le cose in questo mondo non vanno bene, e quest’ultima tragedia sanitaria ne è una prova.
Bisognerà modificare comunque l’ordine delle cose. Anche i Santi se ne sono accorti.
La chiesa come collante storico perde terreno. Forse maestra non lo è mai stata.
Il filosofo Comte già ammoniva che la convivenza pacifica, vivere per gli altri, non è soltanto la legge del dovere ma anche quella della felicità. L’uomo deve guardare oltre ogni apparente realtà. È lì che la probabile verità si annida, si conserva un’etica che potrebbe far vivere meglio, che appartiene a tutti. Un’etica fuori dalla fede, che appartiene a tutti gli uomini.
La ricerca di una verità nell’essere umano che la religione ha separato, la politica ha diviso, la ricchezza ha classificato e il destino ha fatto naufragare.
I San Silverio o semplicemente i Silverio di Francesco Ambrosino, artista di strada di un’isola bellissima, sopra una spiaggia che fu un’agorà per generazioni di ragazzi, lo gridano a gran voce. Questo mondo non va. “Ritornare alla conoscenza per il fine di sapere” (Aristotele).
I Silverio di Francesco Ambrosino, a mio avviso fanno pensare, fanno filosofare, come giusto che sia.