Riceviamo dallo scrittore ponzese Antonio De Luca e pubblichiamo:
Quando morì lo scrittore Predrag Matvejevic, nel febbraio del 2017, scrissi che me ne andavo in giro per Napoli, dove mi trovavo in quei giorni, bestemmiando in cuor mio senza meta e senza un preciso perché. Ma sentivo che qualcosa era cambiato nella cultura mondiale. Il mondo aveva perso un maestro, un grande intellettuale, un poeta, un filosofo, la voce dei deboli, degli ultimi. La voce di chi alzava la voce contro ogni potere. Col senno di poi ho capito che quelle bestemmie gridate dentro di me per le strade di Napoli, erano silenziose grida di disperazione, erano solo segnali d’allarme per la storia, per la coscienza e la dignità degli uomini, per tutte le democrazie e per il socialismo, per l’utopia.. E soprattutto per quanto sta accadendo oggi in Europa e nel mondo. Con la scomparsa di Matvejevic tutti eravamo più soli.
Uno dei grandi maestri della cultura del 900, il cantore-poeta del Mediterraneo e dei suoi popoli, il difensore delle democrazie, dei diritti degli ultimi, delle minoranze, questa volta era partito senza ritorno. Non l’avrei più visto.
Ho conosciuto e frequentato più volte tra Roma Napoli e Trieste Predrag Matvejevic. Grazie allo scrittore Simone Perotti ed Andrea Simi che gli fece leggere le mie poesie circa 20 anni fa. Ricordo che la sua risposta per me fu un sole. Caro Amico il tuo linguaggio sta fuori dalle imperanti mode letterarie mi scrisse, presto ritorno a Roma ci incontreremo con Andrea. In questi anni ho avuto con lui un affettuoso epistolario.
Inoltre fece con la passione e l’eleganza di sempre, una meravigliosa prefazione ad Adespota, il libro di poesie scritte lungo il Mediterraneo con l’amico grecista Andrea Simi, edito da Vallecchi. Di questa prefazione, dove Predrag, ci faceva due Argonauti, ne parlammo con entusiasmo in un ristorante romano. Li mi chiese perché Pessoa. Il giorno dopo a Largo Argentina a Roma in un appuntamento entrambi alla libreria Feltrinelli, gli raccontai la mia vita a Lisbona. Gli raccontai che l’incontro con Pessoa e i suoi eteronimi, mi aveva cambiata la vita. Ebbene tutto questo per me è stata una grande fortuna. Una finestra spalancata sulla conoscenza, sul Mediterraneo.
Il suo libro Breviario mediterraneo, edito da Garzanti, è per me, il vangelo laico che mi accompagna nel viaggio, che mi dà le rotte e le meraviglie del pensiero antico. E che mai mi fa sentire solo, ma felicemente in compagnia di tanti popoli, tante etnie. Parlare e scrivere della grandezza e della complessità e della statura culturale di Predrag Matvejevic non è un compito che mi si addice.
Matvejevic ha bisogno di altri storici, filosofi, poeti e intellettuali, per parlare della sua opera. Io ho avuto solo la fortuna di nutrire il mio essere poeta della sua vicinanza e soprattutto del suo affetto. Mi limiterò a scrivere di ricordi e di alcune riflessioni fatte con lui.
L’importanza che per me ha avuto Predrag Matvejevic è notevole, soprattutto nelle analisi critiche che faceva alle mie poesie e i consigli che mi dava. Ma quello per cui lo porterò sempre nel cuore, è che mi spronò sempre attraverso ogni lettera ed ogni incontro, insieme ad Andrea Simi, a dover riprendere gli studi classici. Leggi e approfondisci con il pensiero di oggi quello che per te fu il primo latte, mi disse una sera a Napoli alla Fondazione Mediterranea.
Matvejevic spesso mi diceva che prima di tutto lui si sentiva un umanista. Tutta la sua vita, gli impegni accademici, la presenza politica, l’aveva basata sui valori umanisti. Si laureò a Zagabria in Lettere e Filosofia. Predrag amava Napoli per la sua arte, la poesia e tutto quello che rappresentava la città nella cultura mediterranea. Ma era infastidito dalla immondizia e da quell’abbandono anche sociale, che vedeva agli angoli delle strade.
Con Predrag ho parlato molto durante i nostri incontri. Spesso mi portava le fotocopie dei suoi interventi fatte nelle varie università e negli incontri tenutosi lungo le rive del suo amato Mediterraneo. Dei suoi libri ne ho discusso con lui, e c’erano sempre notizie in più che lui non aveva scritto e che mi raccontava.
Parlavamo della Jugoslavia e degli accadimenti fino al giorno prima, Predrag ci teneva che noi tutti dovevamo sapere tutto quanto succedeva nei Balcani, e che i giornali e televisioni nascondevano o raccontavano altre realtà.
Matvejevic odiava la menzogna, mi disse che la menzogna genera violenza e la violenza può sfociare nelle dittature. Ne presi atto con assoluta convinzione.
Spesso mi chiedeva cosa stavo scrivendo. Ed io gli raccontai la storia dei nonni sopra i bastimenti nel dopoguerra per le rive mediterranee a trasportare aragoste e capitoni. Mi raccontò dell’importanza del porto di Marsiglia nella storia mediterranea. Mi disse che se avesse saputo queste storie e i racconti che feci nel libro Vinea Loquens, prima dell’uscita dell’ultima edizione di Breviario Mediterraneo, queste storie sarebbero state nel libro. Quando lesse Vinea Loquens mi telefonò da Zagabria.
Alla presentazione di Pane Nostro in un teatro a Roma, gli dissi che mio nonno da vecchio a casa faceva il pane, e che lo mangiavamo per un mese, e non si faceva mai duro. Inoltre a tavola nessuno doveva iniziare a mangiare se al centro del tavolo non ci fosse il pane. Mi disse, spero che tu hai baciato le mani a tuo nonno. Gli raccontai che mio padre, anche quando ritornava a casa dai suoi lunghi viaggi intorno al mondo, mangiava le gallette, il pane dei marinai. E che anche io avevo imparato sin da piccolo a mangiare quel pane. Mi rispose, accarezzandomi il viso, quando vedi tuo padre portagli i miei saluti. Digli che le più buone le fanno a Beirut.
Matvejevic amava la sua Jugoslavia, l’ha difesa sempre, nei suoi scritti già aveva previsto quello che sarebbe successo, dopo la morte di Tito. La guerra l’aveva segnato per sempre. Ne aveva denunciato gli orrori da ogni piazza, dalle cattedre e dai media. Era irritato fino alla rabbia per l’assenza dell’Europa. L’Europa è finita in Bosnia mi disse. A Sarajevo l’Europa non ha più una morale. Era indignato anche con la Russia per il silenzio sulla guerra dei Balcani.
Questa Europa, quella della Banche e dei signori delle guerre, del colonialismo e del neo-colonialismo, delle lobby finanziarie, non è l’Europa sognata e pensata dai suoi padri fondatori. Chi ha deciso di appropriarsi di un’ idea e farne un’altra, completamente snaturata dai suoi valori primari. Questa Europa non è quella sognata dai grandi pensatori del Manifesto di Ventotene.
Non è l’Europa che i suoi padri fondatori pensavano e sognavano dal loro esilio di confinati a Ponza. Matvejevic mi chiedeva di raccontargli le storie dei confinati a Ponza. Gli raccontai che a 15 anni, avevo conosciuto Sandro Pertini sotto casa mia a Ponza, mentre cercava i suoi vecchi amici del confino fascista. Che conoscevo le lettere che il Presidente scriveva ad un suo amico a Ponza. Mi rispose che avrei dovuto scrivere queste storie. Così che iniziò a nascere il mio libro il falegname e il partigiano.
Matvejevic è stato un intellettuale che ha difeso il socialismo dal volto umano, il socialismo autogestionario di Tito, nonostante ne denunciasse le storture e gli abusi. Egli ha sempre difeso l’unità del paese contro ogni separatismo. A Tito ha dato i grandi meriti delle raggiunte conquiste del socialismo sul piano assistenziale, sanitario e sociale tutto. Matvejevic era fiero che in Jugoslavia l’istruzione era gratuita per tutti. Ma l’aspetto che più mi ha commosso dalle frequentazione con Predrag Matvejevic, è stata la sua oceanica bontà, il suo mettersi sempre con gli ultimi. L’uomo, nella sua più alta forma espressiva, nella sua dignità, nel suo essere, era al centro del suo dibattito conoscitivo, era parte della sua coscienza umana e intellettuale.
Questo suo esistenzialismo, a mio avviso, l’ho sempre pensato e accostato al padre degli esistenzialisti del Mediterraneo, Albert Camus. Non abbiamo avuto il tempo di dialogare su questo, parlammo invece del libro Ispirazioni Mediterranee di Jean Grenier, che di Camus fu professore di filosofia e suo mentore. Grenier prima di andare ad Algeri aveva insegnato a Napoli. Concordammo dell’importanza che Grenier aveva avuto sul suo alunno Albert Camus. E’ noto come Grenier e Matvejevic fossero particolarmente legati ai loro alunni, a cui davano qualcosa che andava oltre all’accademico rapporto.
Grenier e Matvejevic avevano insegnato a Parigi alla Sorbonne, anche se in anni differenti. Prima di guardare al pensiero, alle riflessioni e alla letteratura che li accomuna, bisogna dire che Predrag Matvejevic e Albert Camus, hanno molto in comune della loro vita iniziale. La guerra, l’emigrazione, le restrizioni, le lotte per la libertà, una vita difficile. Due città Zagabria ed Algeri, due paesi l’Algeria e la Jugoslavia martoriate da diseguaglianze sociali e democratiche. Ma entrambi, questi due grandi intellettuali avevano messo l’uomo all’origine di ogni loro pensiero, ed è questo il primo comandamento della filosofia esistenzialista che li accomuna. Entrambi hanno vissuto per l’uomo.
Per capire quale fosse il suo destino, il malessere vivente che lo attanaglia.
Anche Matvejevic aveva un anarchismo interiore e di pensiero, come Camus. Essi avevano la consapevolezza di quello smarrimento esistenziale, e Matvejevic di questo me ne aveva parlato. Entrambi laici. L’uomo può nulla, può solo stare a guardare diceva Camus.
Matvejevic mi ha sempre detto: sono abituato a perdere, posso solo assistere agli eventi. Perdere fa parte del destino dell’uomo. Ma intanto vivo, combatto, sono presente, gioisco e soffro. Alla fine a Matvejevic la vita gli è caduta addosso in un ospedale, un sanatorio mentale.
A qualche amico che lo andò a trovare, lo salutava dicendo, non ci vediamo più. Nella mia coscienza, tra i tanti demoni che mi porto dentro. Uno spesso si presenta e mi fa stare male. Quello di non essere andato a fargli visita, quando la moglie mi scrisse che non potendo più scrivere, era lei che gli leggeva le mie lettere. Lui ci mandava i saluti, a me ed Andrea Simi, dal suo hotel sanatorio-definitivo. Ci salutava da dove era cosciente che non sarebbe più uscito.
Camus e Matvejevic hanno messo l’essere umano al centro di ogni loro riflessione. Entrambi sono stoici spontanei che resistono. E che vivono la vita, abbracciano il mondo e si consolano. Soffrono davanti al destino dell’uomo. Matvejevic vive l’esistenzialismo di Camus e ne soffre, quotidianamente negli atteggiamenti e nelle cose, nei rapporti umani come nei rapporti con ogni potere. Camus dice che conosce un solo dovere, quello di amare. Matvejevic fa lo stesso, non sopporta vedere per strada poveri e mendicanti.
La sera, dopo le lezioni alla Sapienza di Roma, ritorna a casa senza soldi. Anche a Napoli era un continuo distribuire monete da 2 euro a che ci avvicinava. Notai che usciva dall’albergo già con una tasca piena di monete, tutte da 2 euro.
Si dà tutto, ma ci si condanna che non si è dato mai tutto.
Su questo Camus mi laicizzò già negli anni del liceo. Camus fu per me come l’uomo Cristo per i cristiani. Matvejevic è stato ed è l’uomo, che mi fa compagnia tutti i giorni in questo viaggio esistenziale mediterraneo. La Jugoslavia, come l’Algeria a Camus, era diventata il calvario per Matvejevic, la sua croce. Volle ritornare a vivere a Zagabria da pensionato, nonostante lo aspettasse una condanna e non era ben visto dal popolo, dai nazionalisti fascisti e comunisti, dai talebani di ogni confessione religiosa.
Le cartoline che in questi ultimi anni di vita mi inviava da Mostar facevano sempre riferimento alla sua infanzia. Il vecchio voleva ritornare quel bambino che fu. L’uomo ritorna a finire la vita nella terra natale.
La filosofia di Matvejevic e Camus, li fa stranieri. Entrambi hanno vissuto tra asilo ed esilio. Denunciano la guerra e le sue barbarie, l’inerzia e l’indifferenza degli Stati. Scrivono dei diritti fondamentali dell’uomo, l’esistenza e la difesa di tutte le minoranze, la dignità di tutti e soprattutto stanno a fianco dei più deboli.
Giacomo Scotti, scrittore e intellettuale, amico di Predrag, scrive che egli è un uomo col cuore in mano. Ripensando all’Europa, Matvejevic ha sempre detto e scritto, che lui non condivide una Unione Europea senza la culla dell’Europa, il Mediterraneo. Questa Europa così come cresce e si sviluppa non è appropriata alla sua storia e soprattutto non conveniente ad un processo di democratizzazione, di pace e di crescita sociale.
Questa unione di stati così come si sta sviluppando può portare a nuove barbarie? Gli chiesi. Mi rispose con una frase di Pjotr Kropotkin, la questione del pane è più importante di tutte le altre. Evidente che intendesse dire che uno Stato o comunità di più Stati non può affamare i suoi cittadini.
A Roma Matvejevic mi consegnò il suo intervento all’Università di Trieste quando gli consegnarono la laurea honoris causa. La lectio doctoralis portava il titolo L’Europa e l’altra Europa. E’ interessante riportare qui un passaggio dell’intervento di Matvejevic del 2002. Occorrerebbe pensare l’Europa prendendo in considerazione i valori della cultura e della civiltà che la caratterizzano…….Sarebbe auspicabile che l’Europa odierna fosse meno eurocentrica di quella del passato,più aperta al cosiddetto Terzo mondo dell’europa colonialista, meno egoista dell’Europa delle nazioni, più Europa dei cittadini e meno Europa degli stati che si sono fatti guerre fra loro. Una Europa più consapevole di se stessa e meno soggetta all’ americanizzazione. Sarebbe utopistico aspettarsi che diventasse, in un futuro prevedibile,più culturale che commerciale, più cosmopolita che comunitaria, più comprensiva che arrogante, più accogliente che orgogliosa e, in fin dei conti, perché no, più socialista dal volto umano e meno capitalista senza volto.
Poi mi disse che questa Europa così provinciale, non aveva le basi per dare un nuovo splendore delle tradizioni e della cultura di un tempo. Un’Europa che si era sviluppata senza tenere conto della sua culla mediterranea, aveva acuito le differenze nord sud e creando ancora di più differenze di crescita e sviluppo all’interno del bacino Mediterraneo.
Matvejevic mi diceva che i problemi all’interno di questo mare partono da una assenza di laicità e il prevalere di dogmatismi differenti in spazi brevi, le religioni si erano fortemente clericizzate e questo spesso sfocia in un nazionalismo autarchico, portatore di guerre e distruzioni. Questo stato di fatto era un condizionamento negativo ad una interculturalità. Che invece, l’interculturalità doveva essere uno dei fondamenti, per lo sviluppo di democrazie e assottigliamento delle differenze sociali, economiche e culturali tra i diversi Stati.
Predrag Matvejevic usò e fece suo il termine Democratura. Il termine fu usato per la prima volta dallo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano in riferimento ad alcune democrazie sudamericane. Democratura sta a identificare una democrazia manifestata con elementi dittatoriali o oligarchici. Matvejevic la utilizzò dapprima per analizzare alcuni stati post-comunisti della cortina di ferro. Ma poi negli ultimi anni parlava con profonda amarezza e dolore, che anche in questa Europa socialdemocratica si andava instaurando sempre di più un regime di democratura.
Di conseguenza l’Unione Europea perdeva il principio fondante a cui i suoi padri si ispirarono ripeteva. E tutto questo poteva portare a frustrazioni e indebolimenti sociali dei suoi cittadini, e quindi inesorabile la ripresa di esasperati nazionalismi e dogmatismi.
Questa Europa fa apparire i fantasmi del passato. E Matvejevic non c’è più. E nessuno più ne parla. Come non ascoltiamo più le voci di Antonio Gramsci, Italo Calvino, Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco ed altri.
I filosofi e i poeti danno fastidio a qualsiasi potere. Li nascondono. Allora dove sta adesso l’attuale strisciante e silenziosa dittatura di un pensiero unico. Dove alberga e si manifesta la democratura di Eduardo Galeano e Predrag Matvejevic.