Riceviamo dallo scrittore ponzese Antonio De Luca e pubblichiamo:
Negli anni 80 Jacques-Yves Cousteau denunciava al mondo: il Mediterraneo sta morendo.
In quegli anni, un’estate ero sulla nave oceanografica Marsili per un progetto CNR, Università di Napoli Facoltà di Geologia. Si studiava e cartografava lo schema morfobatimetrico e strutturale fuori al golfo di Taranto e la piattaforma continentale. Ci affiancava in questo progetto l’Istituto Universitario Navale con la nave Dectra.
La Marsili navigava nel basso Mediterraneo e nel mar Ionio. Al progetto del CNR partecipano anche alcuni geologi e biologi marini della Università di Perpignan in Francia, amici e collaboratori di Cousteau nelle sue ricerche nel Mediterraneo con la famosa Calypso.
Con questi mi intrattenevo durante la preparazione della spedizione, a Napoli presso l’Istituto Universitario Navale, per discutere le problematiche che il mare ci poneva dopo le ricerche e le affermazioni di Cousteau.
Nonostante il mio primo interesse fosse la Geologia strutturale, mi interessava molto parlare con i biologi del pericolo che il Mediterraneo stava per correre. E poi per me Jacques-Yves Cousteau era un Mito.
Il Mediterraneo non è altro che un grande lago mi dicevano, con tutte le problematiche che questo comporta. E già allora avanzavano le ipotesi riguardanti il riscaldamento marino e il prelievo continuo e indiscriminato delle specie ittiche da parte dell’uomo, nonché dell’inquinamento.
In quegli anni i fiumi scaricavano a mare veleni di ogni specie. E poi c’erano le centrali nucleari che davano molte preoccupazioni alla comunità scientifica.
Inoltre il Mediterraneo era solcato da petroliere che inquinavano le coste con i loro scarichi bituminosi.
Oggi per fortuna questo non avviene più e le centrali sono chiuse, ma sulla loro sicurezza molti dubbi e preoccupazioni rimangono.
Parlammo soprattutto della diminuzione della capacità del mare di produrre pesce quando vengono a mancare le condizioni necessarie; problematica che riguardava tutti gli oceani e quindi tutti i popoli che sulle rive di questi vivono e si sfamano.
Su queste argomentazioni lo stesso Folco Quilici, assiduo frequentatore delle Isole Pontine, condivideva pienamente l’impoverimento del Mediterraneo ed esternava le sue preoccupazioni. L’impegno di Quilici fu costante in tutta la sua vita per la salvaguardia della cultura sul mare.
A questi due grandi ricercatori e viaggiatori, negli anni si aggiunsero scienziati, navigatori solitari e poi enti governativi e non, tra cui tutte le associazioni ambientaliste, e naturalmente gli Istituti di ricerca di tutto il mondo.
In questi ultimi 20 anni ho parlato con i pescatori incontrati lungo le rive mediterranee, da Istanbul al Pireo, da Marsiglia a Napoli e alla Croazia, passando per le coste dell’Africa mediterranea e non solo. All’unanimità una sola preoccupazione attanaglia questi uomini: “ Il mare non è più come prima, il mare si impoverisce e non ci dà più da vivere, e anche noi ci impoveriamo, moriremo poveri, noi e il mare”, mi disse un vecchio pescatore sul porto di Istanbul.
Negli ultimi anni ho concentrato la mia attenzione sulle Isole Pontine, visto che qui ho vissuto i primi anni della mia vita, e qui son tornato a vivere, ma non so più se sia stata una buona scelta.
Ogni primavera, che poi è la stagione più pescosa, parlo con gli ultimi pescatori rimasti. Sono alcuni di loro che mi cercano per esternare le loro preoccupazioni e la loro rabbia, visto che da sempre sono persona impegnata nelle associazioni ambientaliste.
Mi confronto con i vecchi (tra questi mi ci metto anch’io) e nuovi pescatori subacquei, con i responsabili dei vari Diving, e con gli amici fotografi subacquei che d’inverno viaggiano anche per i fondali del mondo.
I responsabili dei Diving preoccupatissimi denunciano: portiamo la gente nei fondali a non vedere niente. E negli ultimi anni anche con il gruppo di carabinieri subacquei mi confronto e ascolto.
Questi, con grande responsabilità e soprattutto professionalità, ma anche attaccamento ai propri principi (questo mi allieta non poco), monitorano non solo i siti archeologici subacquei, ma anche i fondali e gli ambienti marini intorno alle pontine.
Il quadro della situazione dei fondali marini che questi uomini mi raccontano è allarmante e preoccupante. Un ambiente devastato.
Vengo a sapere anche da loro, che vanno ben oltre i 50 metri, dell’enorme quantità di reti abbandonate nei fondali che continuano a pescare. La quantità sempre minore di ogni presenza ittica dalla battigia fino a fondali in cui la luce del sole arriva, che poi sono i fondali con più presenza di interventi antropici. E oltre a questo si aggiungano aree di fondali con concentrazione di rifiuti umani, tra cui naturalmente la plastica.
Nino Baglio, insieme a Giuseppe De Luca, Gavino Pino, Cesare Sandolo, è uno dei primi subacquei negli anni ‘60. Si forma alla scuola di Raimondo Bucher, Bruno Vailati, Silverio Zecca.
Con Nino Baglio condividiamo le stesse preoccupazioni e la stessa sofferenza a vedere un mare deserto. Nino è molto preoccupato, direi avvilito nel vedere quel mare una volta così ricco, ora desolato, deserto di vita.
Il mare delle pontine ora ha ben poco o quasi niente da offrire. Questo è da spiegare anche col fatto che le pontine stanno sul bordo della fossa tirrenica e la piattaforma continentale è troppo stretta e piccola da permettere una grande quantità di presenza ittica, e un ripopolamento continuo, se il prelievo non rispetta i tempi di riproduzione.
Praticamente si pesca di più di quello che il mare può dare. Inoltre è esagerata la quantità di barche da pesca che vengono dal continente, sia dalla regione laziale che campana.
Il mare non riesce a equilibrare la sua naturale vita biologica. Troppo prelievo forzato in un ambiente piccolo sia pure una volta pescosissimo. Quindi tutto lentamente si sta consumando.
Anche i subacquei, e ogni persona a cui piace ammirare la vita marina dei fondali di Ponza, Zannone e Palmarola, mi dicono che il mare intorno alle isole pontine è costellato da reti abbandonate che continuano a pescare. Nei fondali ci si trova di tutto.
Ci sono località dove ci sono non più banchi di posidonie ma banchi di immondizia.
Alcune specie di pesci stanno scomparendo dai bassi fondali, come le cernie, pezzogne, ghiozzi e saraghi.
È saggio ed è bello ascoltare il vecchio pescatore, Silverio Silvestri, a cui mi lega una profonda stima. Ha oltre 70 anni. Ha conosciuto e vissuto il Mediterraneo dalla Corsica alla Tunisia. La sua è una vita sul mare. Uomo d’altri tempi, uomo antico di belle virtù. Un’altra cultura, un’altra coscienza, un’altra razza.
Sembra venire dai libri di Esiodo e di Omero. Ora si diletta a insegnare a qualche giovane pescatore quel mestiere che è tra i più antichi dei mestieri: la pesca.
La sua è una forte denuncia: non ci sta più niente, i giovani pescatori saranno costretti a cambiare mestiere, non ci sono neanche più i soldi per pagare le tasse e i contributi. Ogni anno è sempre peggio.
Il mare si è svuotato. E negli ultimi anni anche i turisti iniziano a lamentarsi ma qui non si vede un pesce. All’unanimità tutti danno soprattutto la responsabilità alla pesca intensiva, ai mancati controlli negli anni e non solo, al non rispetto del mare e alla sua fragile esistenza in un mondo antropico sempre più aggressivo e con regole spesso approssimative e poco qualificanti, e a dir poco irresponsabili. E poi tutti dicono che manca un vero controllo in mare da chi è preposto. Un controllo continuo ed efficace con pene certe per chi infrange la legge o inquina.
Gli amici fotografi nelle loro passeggiate sui fondali marini mi descrivono un quadro allarmante sulla presenza di reti abbandonate e l’assoluta mancanza di pesci e crostacei fino ad una profondità di 50 metri. Un mare una volta ricco di aragoste e granseole, mormore e saraghi, ed ogni specie di pesci, ora un deserto biblico.
I labridi, che ravvivano con i loro colori le battigie e le scogliere sono i più indifesi e quindi sono totalmente scomparsi. Anche gronchi e murene, sciarrani e cefali, scorfani e soprattutto polpi e seppie una volta abbondanti fino alla baia del porto, ora si contano in poche cifre. E anche il pesce azzurro, una volta copiosissimo, ora in tutto il Mediterraneo ha diminuito di molto la sua presenza.
L’attore responsabile di questi disastri non è che l’uomo e la sua ingordigia, l’incapacità di gestire un patrimonio così importante per la sua sopravvivenza. La sua irresponsabilità e una non adeguata conoscenza. Un’assenza totale di una cultura naturalistica di chi deve gestire l’interesse della collettività e del bene comune.
La catena alimentare nel tempo si è interrotta e ha provocato il suo squilibrio. Nino Baglio nelle sue passeggiate subacquee racconta di itinerari nostalgici.
A sud di Ponza nelle vecchie tane di cernie il paesaggio è un paesaggio di un’architettura decadente, racconta Baglio. Un’assoluta mancanza di vita, con reti abbandonate spettrali.
Negli ultimi 10 anni alle isole pontine abbiamo assistito ad una moria di ostriche, arche di Noè, limoni di mare, pinne nobilis, e altri bivalvi, tutti organismi che vivono filtrando l’acqua. Fino agli anni ‘90 i fondali bassi davanti alle spiagge offrivano vari tipi di vongole, vermi, lumache di mare e granchi, che ora non si trovano più.
Cosa accomuna l’impoverimento di queste specie? Dalla Spagna gli scienziati parlano di un parassita che indebolisce gli organi. Ma perché succede tutto questo? L’uomo in massa ha invaso un ambiente che non gli compete.
Le patelle sulla battigia riescono a sopravvivere ancora per poco; queste si cibano di piccole alghe attaccate allo scoglio, ma il loro prelievo, sconsiderato da parte dell’uomo, provoca scogliere morte già ai primi centimetri della battigia.
La pressione sul mare e la sua vita da parte dell’uomo è incontrollata. A questi motivi si aggiunge che, come tutti sappiamo, ci sta anche una pesca con autorespiratori che provoca un vero disastro ambientale. Questa pesca è severamente proibita, ma avviene lo stesso e lo Stato non ha mai organizzato veri controlli.
A causa di questa pesca illegale, sono le indifese cernie ad essere state distrutte, mi dice Cesare Sandolo, anche lui un vecchio pescatore subacqueo, quasi pentito.
L’uomo con i suoi modi di vivere il mare ha provocato un ambiente povero di vita, ha indebolito gli organi delle specie viventi e le loro difese immunitarie. I pesci e tutto ciò che il mare offriva vengono a mancare e di conseguenza un adeguato sostentamento nutritivo all’uomo.
Alle isole pontine non rimane, allora, che creare delle aree marine di ripopolamento in cui la vita marina può riprendere il proprio processo biologico e ritornare ad un auspicato equilibrio nell’interesse di tutti, soprattutto anche per la pesca; aree di ripopolamento ittico gestite dallo Stato ma con la partecipazione dei pescatori, associazioni ambientaliste ed enti scientifici. Così come è avvenuto per le reti derivanti giustamente abolite, ed ora il mar Mediterraneo brulica di nuovo di delfini, tartarughe e cetacei.
Bisogna che le autorità competenti intervengano urgentemente alla salvaguardia del mare e dei suoi abitanti con leggi severe e un monitoraggio continuo da parte delle autorità preposte.
Bisogna che ci sia una maggiore democratizzazione dei territori e questo non da tutti gli Stati del bacino mediterraneo è stato fatto in buona fede. Gli Stati del Mediterraneo devono avere un’organizzazione loro a prescindere dall’Unione europea.
Le necessità del Mediterraneo sono ben altre. Non sempre sono quelle che le lobby di Bruxelles vogliono farci credere. Predrag Matvejevic lo scriveva già in tempi non sospetti. Sappiamo che Platone suggeriva che i poeti vedono lontano.
Bisogna che le associazioni ambientaliste, come Marevivo e Legambiente e tutte le altre, riprendano il loro ruolo culturale e sociale, che la politica si assuma le proprie responsabilità. Solo nell’interesse di salvaguardare questa terra e chi la abita.
All’uomo tutto è stato dato solo in prestito. Quest’uomo è anch’egli uno dei tanti appartenenti al processo creativo dell’universo e non è padrone di niente. Niente appartiene a nessuno. L’uomo è ospite di madre terra. La cultura antica precristiana e i nativi americani hanno ancora ragione e molto da insegnare.
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