Presentata a Ponza, presso l’hotel “Santa Domitilla”, l’ultima fatica letteraria dello scrittore ponzese Antonio De Luca, “Eros”, un tributo alla Grecia antica e alla cultura mediterranea.
“Io vengo dalle rive di Omero, dalle rive dell’antica Grecia, dalle rotte degli dei, da dove tutto cominciò. Quel mondo che ha inventato la nostra storia. Queste terre ne hanno dato il pensiero, l’anima e un cuore. E soprattutto il Mito”, ha esordito De Luca.
Poi un cenno autobiografico, in cui è sintetizzato tutto il lavoro dello scrittore isolano: “Sono uno che vive per le rive mediterranee e che volge le spalle a questa civiltà. Scrivo le mie storie per vivere cercando di essere un uomo, per dare una ragione a questa vita. Non faccio programmi di scrittura, in quanto è già abbastanza difficile essere uomo in un tempo come il nostro. Un tempo in cui non mi sento più a mio agio. L’istinto, il demone della poesia, mi è salvifico per ora”.
“Scrivi così come vivi, mi disse Eduard Limonov. E scrivo anche come amo – ha aggiunto De Luca – pensando al poeta russo Andrej Voznesenskij. Mi sento un uomo perennemente in rivolta. La rivolta metafisica ed esistenziale di Albert Camus. E molto ho sempre amato: il Mediterraneo, il Mediterraneo e le sue donne, la sua cultura, la sua origine, i suoi popoli, le sue isole, la vita, il mare in ogni sua espressione, il dialogo costante tra le terre e le sue genti”.
Di più: “Come scrisse il poeta greco Odysseas Elytis per me il mare e le onde parlano greco. A Ponza ho cercato di recuperare l ‘uomo antico. Ho portato le Muse.e gli dei. Il tempo remoto. Come “l’ uomo antico” sono anche i nostri antenati isolani, che con poca conoscenza, ma molta follia e spirito di avventura, spirito omerico, spirito da argonauti, hanno viaggiato a vela da Ponza e colonizzato terre e isole intorno al Mediterraneo. Io amo le isole di tutto il mondo”.
Non poteva mancare un cenno alla sua formazione: “In filosofia mio padre è Epicuro che mi ha insegnato ad essere felice. Aristotele dice che la felicità è lo scopo della vita. Mi hanno educato alla solitudine e a condividere. A vivere nascostamente e a stare con gli altri. I miei compagni di strada sono i poeti di tutto il mondo. Non mi sento di avere un futuro, non posso avere un futuro, dove l’uomo è assente. Il futuro è il mio passato. Mi sento un inattuale direbbe Carmelo Bene. L’inattualità è la mia estetica. La condizione di vita.
La nostra storia nasce con Omero, 2800 anni fa circa, ma è partita da molto lontano, dalle steppe asiatiche e balcaniche. Omero è il grande capo, lui dice tutto, dice quanto ci serve.
Tutto ciò che Omero dice si svolge in isole e tra isole, dove le donne e gli dei danno il corso alla storia, e gli eroi, sono uomini soli ai loro piedi”.
Un intervento che è un tributo all’insularità. “Le isole sono iniziazione – ha detto – l’isola è principio di libertà, di bellezza, di virtù, di amore e di purezza. Le isole sono luoghi aperti ma nello stesso tempo chiusi, possono imprigionare ma poi anche liberare, lasciare andare.
Sopra un’isola non è netto il confine tra realtà e immaginario. Si può scomparire per poi riapparire. L’isola attraverso la letteratura omerica, concepisce l’idea del meraviglioso, fa condividere la volta celeste. La mia ricerca poetica nasce nella Grecia antica e sulle sponde di Napoli dove vissi. La sirena Partenope mi rapì. Costruivo un mondo per me, con il mio ordine, il mio bisogno di capire e di conoscere. Le mie radici nomadi, nate dalle storie di tre uomini di mare. I miei nonni e mio padre. E poi le illusioni, la bellezza, l’amore, le emozioni, la pietà. Iniziavo già allora a sentirmi fuori posto, un estraneo”.
I ricordi di gioventù: “Ricordo la prima volta che andai al Museo archeologico di Napoli e poi a Ercolano e Pompei. Decisi allora che avrei voluto vivere tra statue e resti archeologici di un glorioso passato. Ebbi il desiderio che la mia casa fosse una biblioteca, un teatro, una strada per concepire pensiero e bellezza, una sala di un museo con statue di marmo bianco, la materia eterna. Quelle statue continuano a parlarmi. Probabile che la Venere Callipigia al Museo archeologico di Napoli, fu il mio primo amore. Questo dialogo si è fatto esistenza. Una casa che contenesse tutte le isole del mondo, perché ogni isola è un mondo.
Io penso e scrivo spesso secondo una logica e un istinto, che si rifà alla lingua dell’antica Grecia e alla lingua di Virgilio, dove il verbo e la parola vivono e rispecchiano il pensiero e la ragione del sentire dell’anima, della mente, e del cuore. Parole libere in continuo mutamento ed evoluzione a cui dare il senso ultimo del mondo. Un mondo dove l’uomo cerca di vivere in armonia con la natura e con i suoi simili, e gode delle arti e della bellezza, che non è solo estetica, ma anche giustizia, pace, serenità.
Quello di De Luca è un inno all’antica Grecia. “La bellezza per i greci – ha affermato – è una virtù. L’uomo greco era un uomo libero e si chiedeva il come delle cose, oggi l’uomo dalla sua prigione, si chiede il quando delle cose. E il come e il quando hanno fini diversi, uno libera l’altro incatena. La ragione greca riflette e permette di agire sull’uomo, non di trasformare la natura. I greci sono presenti a Ponza già dall’800 a. C. Arrivano gli Eubei, da Pithecusa, la Ischia attuale. Abbiamo qui i resti di due cimiteri. Sappiamo che i morti non finiscono mai di parlarci, e non ci lasciano mai da soli. I morti ci danno forza quando i vivi sono incapaci. I morti ci parlano di coscienza individuale, di giustizia, di solidarietà, di giusta misura, condannano la tracotanza orgogliosa dell’uomo che lo porta a disobbedire le leggi umane e divine. Motivo di ogni guerra e dissoluzione sociale. Lo stesso nome Ponza è greco, viene da pontos che vuol dire mare. L’isola che nasce dal mare, pensavano i greci.
E non può esserci parto più divino e più bello di questo sorgere dagli abissi, dall’ignoto.
In alcuni uomini del mondo contadino, fino a qualche anno fa a Ponza, si sono tramandate gesta risalenti al Simposio di Platone. Così come ad Ischia ancora tutt’ora, esistono contadini con gesta e parole greche. L’isola diviene così simbolo di esistere”.
E poi Ponza, sempre al centro del lavoro di De Luca: “A Ponza sono passati tra gli altri lo scrittore Alberto Moravia, il regista Federico Fellini, la scultrice Ursula Querner, il pittore Mario Tarchetti, e il presidente Sandro Pertini. Questi artisti a cui sono particolarmente legato, danno a Ponza storia e identità più di ogni altra cosa. Ci lasciano un’isola che è materia-roccia-mare, corpo pensante di una Grecia omerica. Aristotelica e platonica.
Anche il mio ultimo libro Eros, come Adespota e Navigare la rotta, è un inno alla grecità, al viaggio, al Mediterraneo. Il mio essere un poeta greco antico. E Ponza, si fa l’Itaca del poeta Costantino Kavafis, che porto nel viaggio-esistenza. Perché le isole sono anche qualcosa che galleggiano, come disse lo scrittore José Saramago. Portano materia al nostro immaginario, viaggiano, ci portano fuori dalla caverna, dal buio, e diventano Utopia, spazi irreali, spazi sognanti, ma anche reali. Materia di vita. Simbolo di libertà. Le isole sono il corpo di cui mi sento essere fatto. Come per Fernando Pessoa fu Lisbona. E Tangeri per Paul Bowels. Il sangue che porto. L’aria che respiro. La strada che cammino. Il Fato”.
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