Presentazione a Ponza


Presentazione del libro ADESPOTA di Antonio De Luca e Andrea Simi
Ponza 15 giugno 2012

Su queste onde, in queste sponde, che videro Odisseo errare alla ricerca della sua Itaca, ovvero alla ricerca del luogo dove trovare riposo, qui, a Ponza, questa sera parlano a noi del loro incontro due che usano le parole per dare significato alla loro ricerca, e dicono poesia.
Anch’essi cercano, ed in questo vanno.
Andrea Simi segue le orme di Ulisse e il suo stravolgimento d’animo. Dietro luoghi, persone, atmosfere, ombre e presenze.
Ne segue il travaglio interiore, lo stupore la calma, l’ansia e la sicurezza.
Come proprio mentore lo segue e incontra nei versi scritti, la sua anima, le anime del mondo, i mondi fratelli, che il Mediterraneo circonchiude.
E in questo abbraccio ha trovato un’altra anima che percorre l’esistenza come fosse deserto. Senza sostare perché la sosta è perdersi ciò che corre nel vento, è attestarsi a trovare certezze dove certezze non ci sono.
E’ Antonio De Luca. Smanioso di arrivare dove non c’è riposo, per affermare un sì che non verrà mai detto.
Antonio insegue un’esistenza che divora se stessa, perché la casa non lo contiene: ha sapori e profumi d’elezione ma gli soffoca il respiro; ha affetti che non riescono a legarlo all’albero della nave. E lui va, come Odisseo, senza tappi nelle orecchie: sente i richiami dell’amore, sente i richiami della madre, sente l’impellenza di fermarsi ma… ogni luogo e un’isola da cui ripartire per altri destini.
Perché è questa isola qui, è Ponza, la fonte del suo malanimo, e nel contempo, il letto su cui raggiungere il sonno.
Il vento agita le onde, le finestre mugugnano, il vino sa di salmastro, gli occhi dei compaesani sono chiusi alla poesia.
E dunque un altro viaggio lo rivedrà errante per le sponde del Mediterraneo e dovunque il pane è dono che si bacia, e dove la musica accompagna le parole nel loro dipanare emozioni.
Ponza è terra di poesia e fucìna di poeti.
Lo fu già per Odisseo, lo è ancora oggi in cui due poeti mostrano la loro espressione.
ADESPOTA, in questo libro, le poesie dialogano fra loro. Non c’è Simi a dialogare con De Luca né é Antonio a dialogare con Andrea; esse, le poesie, ravvivate dall’insularità mediterranea e atemporale di Ponza, fra di loro si dicono di dolori riposti, di segrete speranze, di ricordi di un’altra vita. E ci dicono di come la vita, tutta intera, sia un’odissea, e di noi che ne siamo gli eroi.
Già tanti anni fa ho sentito il vagito poetico di Antonio farsi strada fra I compiti che la scuola gli imponeva. E poi ne ho guardato preoccupato l’irruenza adolescenziale di lui che rifiutava le discipline universitarie madide di autorità. Oggi, infine, rimango sorpreso dall’impeto delle sue eruzioni poetiche. Che mi profondano nelle viscere dell’umanità. Lì dove finisce il certo e ritrovi la serenità nel flusso di ciò che incessantemente è e si muove e ti circonda e vive con te.

Francesco De Luca

Serata del 15 giugno a Ponza
Un evento inconsueto a Ponza.

Venerdì 15 giugno, nella cornice del porto  borbonico, l’isola di Ponza ha rinnovato il suo legame con la grecità classica attraverso le poesie di due novelli  “erranti”  della parola, due poeti: Andrea Simi e Antonio De Luca.

I loro versi, racchiusi nel volume della Vallecchi, ADESPOTA, sono stati inviati nell’etere dell’isola, in occasione della Presentazione .

Era un atto dovuto, sia perché  antonio de luca è nativo dell’isola e andre simi è un frequentatore dell’isola da tempo con le sue acque e atmosfere, sia perché le liriche, nei loro rimandi alla mediterraneità, alle atmosfere madide di vento salmastro, di suoni marini, di passioni omeriche, sono incardinate  in una dimensione che Ponza evoca in modo egregio.

E così, al calar del sole dietro la collina, nell’anfiteatro vanvitelliano del porto, all’attenzione di un pubblico colto e rispettoso, le poesie di ADESPOTA hanno potuto esaltarsi.

Le ha recitate da par suo l’attrice Mita Medici, dopo che lo scrittore Simone Perotti, autore della postfazione al volume, ne aveva messo in risalto la  “novità”  editoriale, e lo scrittore locale Francesco De Luca ne aveva rimarcato la  “natura ”, e una memoria di Rocco Familiari ne aveva sottolineato il respiro  “nazionale”. Alcune poesie erano accompagnate da un coro greco che ne esaltava il respiro e la dinamicità dei versi, il moto ondoso delle parole. L’attore Francesco Maria Cordella di scuola dal Piccolo di Milano leggeva la lettera che Rocco Familiari inviava agli autori e al pubblico, ed esaltava i versi mandati in arabo, greco antico e portoghese.

All’ inizio tutto il pubblico poteva, presso uno stand adeguatamente attrezzato, poteva gustare, il leggendario vino del Fieno, terrazzamenti a sud di Ponza, ormai entrato a pieno titolo nella letteratura, attraverso Adespota e ai romanzi di Simone Perotti, che un ottimo vino rosè dei Feudi di San Gregorio.

Il sindaco di Ponza, Pier Lombardo Vigorelli, ha aperto la manifestazione complimentandosi con gli autori e donando loro una targa di riconoscimento letterario per aver divulgato la cultura di Ponza oltre i confini. La voce di Mita Medici ho dominato, facendo aleggiare i versi fra le case del porto e nel bacino che lo inghirlanda, accompagnata di chitarra tra flamengo e accenti di sirtachi.

Andrea Simi e Antonio De Luca hanno salutato i presenti e invitato il nuovo governo dell’isola a nuovi investimenti per la cultura, che a loro volta hanno ringraziato con applausi gli autori. Alla fine la serata è proseguita all’WuinspeareClub dove gli schef di Orestorante, Eea, e del santa Domitilla si sono esibiti con piatti che abbracciavano tutti i sapori del bacino mediterraneo, Vincenzo Zecca pasticciere di punta della pasticceria Gildo si è esibito nella grande tradizione napoletana.

Una serata deliziosa nell’eleganza  del suo discreto svolgersi per un evento molto atteso a Ponza.

ROCCO FAMILIARI
Su “ADESPOTA” di Andrea Simi e Antonio De Luca
Ponza,15 giugno 2012

Non c’è niente di più sfuggente e ambiguo della poesia. Basti pensare – richiamo quasi obbligato in questa circostanza, dato il background dei due autori – alla radice greca del termine, forse il più abusato della nostra lingua. “Poiein” significa “fare”, qualcosa di concreto, perciò, ma anche “creare”, e qui già viriamo verso lidi più misteriosi. Il significato preminente, e pregnante, di “poesia”, è l’arte di esprimere – una volta si sarebbe detto in forma metrica, oggi in qualsivoglia – una visione, a un tempo soggettiva e universale, di sé e del mondo. Il poeta è qualcuno perciò che si crea un suo “Mondo di Visione” che, se strutturato formalmente per esprimere qualcosa che vada al di là di un semplice sfogo emotivo, acquista un valore assoluto, definito frequentemente con un termine anch’esso abusato, bellezza: la bellezza della poesia.

Entrambe peraltro sono la ragione stessa dell’esistenza, se ne sia coscienti o meno. E’ solo infatti per… l’inutile bellezza, e l’ancor più… superflua poesia, che si riesce a sopravvivere alle “legnate di una sorte che ci deride” (l’irriverente traduzione dal più famoso monologo di tutti i tempi è mia). Dei tanti connotati della poesia, quello che più mi affascina è la sua inafferrabilità: della stessa natura e sostanza della musica. O dei sogni, materia, come ricorda Prospero, di cui siamo fatti noi umani.

Andrea Simi e Antonio De Luca sono entrambi poeti “inafferrabili”: hanno un “mondo di visione” per certi versi simile, per altri assai diverso, e riescono a dargli consistenza, con i mezzi tipici della poesia, le parole, il ritmo, il silenzio. Le loro composizioni possiedono l’aura benjaminiana, quella cosa misteriosa – chiunque si sia provato a definirla, anche lo stesso Benjamin, ha soltanto divagato intorno al concetto che, peraltro, alla sensibilità di ciascun frequentatore, di musica o poesia, è luminosamente chiaro – che ne fa un unicum, ma inserito in un contesto, in una tradizione, che ne rendono possibile la comprensione.

Proverò a parlare di queste loro poesie sottolineando prevalentemente gli aspetti formali, musicali soprattutto. Aiutato in ciò dal fatto che voi le ascolterete, non dalla mia voce, del tutto inadatta, o da quella degli stessi autori, che sicuramente sarebbero in grado di renderle in tutto il loro fascino, ma ne condizionerebbero, come ogni lettura programmatica, e la loro lo è pour cause, la fruizione, ma da quella di un’attrice, di una grande attrice, la quale per mestiere, per arte, sa, da ogni parola, o verso che recita, estrarre innanzitutto quella cosa indefinibile, l’aura. E in più, ascolterete alcune di queste poesie dei due poeti, nelle sue traduzioni in greco antico, in portoghese, e, sorpresa fra le sorprese, in arabo.

Anzi, poiché sono convinto che il preambolo vi abbia già annoiati, vorrei farvi ascoltare subito queste voci delle quali ritengo del tutto inutile rivelarvi la paternità – in fondo il bel libro si intitola “Adespota”… – in modo da poter raccogliere il respiro musicale, la capacità dei versi di esprimere, nelle lingue più diverse, una stessa forza evocativa.

ASCOLTO DELLE POESIE TRADOTTE IN ALTRE LINGUE.

Prima di cominciare questa seconda parte, dedicata, finalmente, all’opera dei nostri amici, devo fornirvi qualche informazione di servizio, come si direbbe in un contesto più prosaico…, sugli autori. Di Andrea sapevo tutto, o quasi: erede di una tradizione familiare di sapienza giuridica, è un grande manager pubblico tuttora impegnato in incarichi di responsabilità. Ma in parallelo, è un cultore del greco antico. Ha già pubblicato due libri: nel primo, uscito con la Logartpress, ha tradotto i passi dell’Odissea che si riferiscono alle località toccate da Ulisse nel suo viaggio di ritorno e, da buon velista, alle traduzioni ha accompagnato suggestive descrizioni dei luoghi che conosce perfettamente; nel secondo, pubblicato, come questo che presentiamo stasera, da Vallecchi, ha tradotto e commentato le liriche di tre poeti, Alceo, Archiloco e Ipponatte, ottenendo un prestigioso riconoscimento, il Premio Palmi per la saggistica, conferitogli da una severa giuria presieduta da Walter Pedullà.  Stasera lo scopriamo poeta in proprio, ma già dalle traduzioni si intuiva il suo destino. In “Andres”, il secondo volume pubblicato, nel tracciare una dotta quanto intrigante analisi critica dei vari modi di rendere la poesia in un’altra lingua, pur consapevole dei limiti e dei rischi delle traduzioni fatte da poeti, si era espresso abbastanza esplicitamente in favore di quel capolavoro che è la versione quasimodiana dei “Lirici greci”.

Molte sono le corde al suo arco, a parte quella, costituzionale quasi, di ispirazione classicheggiante – la sua frequentazione della lingua di Omero non poteva non lasciar tracce – ma che sa ravvivare con innesti della contemporaneità, secondo la migliore tradizione della poesia del secolo scorso e di questo, da Eliot (c’è un riferimento specifico nel titolo di una lirica “Morte per acqua”), a Pound, a Auden, a Lowell, al nostro Quasimodo, a Rebora, piuttosto che a Nazim Hikmet, o a tutti quelli che possono venirvi in mente…: per mutuare una celebre definizione di Bazin, riferita a certa pittura “derivata”, “arte nata dall’arte”, direi che la poesia, più della pittura, si nutre quasi esclusivamente di poesia; su questa lunghezza d’onda sono infatti le composizioni più complesse, come la maestosa “Nostos” che ascolterete. Ma già la poesia iniziale, “Burattini” che io ho insistito affettuosamente affinché aprisse la raccolta, proprio per smarcarla, in certo senso, dalla impronta grecheggiante, ha invece qualcosa di espressionistico o futuristico: nel ritmo, incalzante, della prima parte, riecheggia alcune liriche del “Pierrot lunaire” musicate da Schoenberg, penso in particolare a “Die dirre Dirne”.

Vi è poi, in entrambi gli autori una vena più colloquiale, sempre entro il rigore formale della scansione in versi, nei componimenti specificatamente “di viaggio”, anche se, per la verità, tutte le liriche del volume potrebbero essere così catalogate, non soltanto perché quasi sempre riportano echi, riverberi, di paesaggi, città, persone, fissati nella memoria, ma proprio per il posto, centrale, che il ricordo ha nell’ispirazione dei due poeti. Il viaggio si vive sempre su due tempi paralleli, quello del momento in cui si compie e quello del momento appena trascorso e irrimediabilmente perduto, perché la memoria lo conserva, certo, ma inevitabilmente lo deforma. Mi fanno tenerezza quei viaggiatori con l’occhio incollato alla telecamera con cui riprendono l’attimo che stanno vivendo, illudendosi così di fermare il tempo.

Di Antonio De Luca, io non sapevo nulla. Dal risvolto di copertina apprendiamo che ha fatto buoni studi, e non ha alcun timore a recuperare nei versi, utilizzandoli come materiale di costruzione, pensieri altrui, dal Nietzsche di “il disordine è l’ordine degli dei”, al Kant delle varie “critiche”. Ha scelto un modo di vivere a cui molti di noi aspirerebbero: vive a Ponza, ha una bellissima casa sulla parte più remota dell’isola, da cui controlla, non so fino a che punto…, l’infinito, vi trascorre pochi mesi l’anno, coltivando delle uve particolari, per poi viaggiare per il mondo e poetare. Le affinità elettive di Andrea e Antonio sono quindi molteplici: il mare, con l’inevitabile corredo – trattandosi del mediterraneo – del retaggio classico, il nomadismo,  il vino, e la poesia. A proposito del vino, vi anticipo che il prossimo libro di Andrea – e a questo punto non potrà più sottrarsi – sarà sul vino nella poesia arcaica, secondo un prezioso suggerimento che gli ha dato un suo grande ammiratore, Predrag Matvejevic, autore della bella introduzione, mentre la dotta e suggestiva postfazione è di un altro… “nomade” che è qui stasera, Simone Perotti.

Quando i due mi parlarono del progetto di pubblicare le loro poesie insieme, suggerii, ma era già una loro idea, di mescolarle, da qui il raffinato e sapiente titolo, senza indicare gli autori, lasciando al lettore, se vuole, se non altro per curiosità, o per un sottile gioco intellettuale, di scoprirne la paternità. E se, una volta lette e rilette, diventa facile poi individuare i cromosomi dell’uno e dell’altro, è affascinante assorbirle inizialmente nella loro misteriosa indistinzione. A un orecchio attento, comunque, non sfuggirà il diverso atteggiamento dei due poeti in relazione al sostrato classico, più controllato quello di Simi, di totale, felice abbandono quello di De Luca. Se posso usare una similitudine mutuata ancora una volta dal mondo della musica, Simi si pone nei confronti del mondo greco, come Ravel nei confronti del valzer: ne subisce il fascino, ma cerca di non farsi dominare, lo scompone, lo trasforma, salvo poi restituirlo, in una forma moderna, inquieta: penso a “La Valse”, più che ai “Valses nobles et sentimentales”. De Luca invece, come il Richard Strauss de “Il cavaliere della rosa”, non teme di farsi conquistare interamente dal mondo che quell’infernale, travolgente meccanismo, identifica, e si lascia andare, regalandoci degli squisiti elaborati.

Ho già detto di alcune delle liriche che ascolteremo. Di De Luca verrà letta “Nemesi mediterranea”, breve, ma succosa, come l’uva di cui si nutre il cantore, apparentemente descrittiva, ma con alcune “scartate” che introducono ad altre dimensioni “vivo sospeso fra la terra e il cielo”, “mi nutro di succo d’uva, di frutti di mare”, e fin qui niente di strano per uno che vive “sopra uno sperone di trachite”, ma anche di “lettere d’amore dal mondo”… Il verso finale, che è il titolo, “nemesi mediterranea”, è quasi un messaggio nella bottiglia. Il gioco degli incastri continua in “Stivaggio”, dove la “tristezza antica di chi va per mare… si fa pensiero e mito”.

Il blocco centrale, ponderoso, sia perché si tratta quasi di due poemetti, sia per la complessità dei temi trattati, è costituito da “Nostos” e “Pausilipon”. In entrambe il tema dominante è il ritorno. Nella prima, il ritorno più famoso della letteratura universale è rivissuto con uno straordinario processo di identificazione, che rende umanamente condivisibile la dimensione “epica” dell’impresa di Odisseo. Nella seconda, il corpo a corpo con la madre, con scarti continui dal privato, senza mai cadute nell’intimismo autoreferenziale, all’assoluto, mira a teorizzare quasi il divenire, che è proprio del movimento, come condizione dell’essere.

In chiusura, “Dana” di Andrea, dedicata al suo amato cane, densa di malinconia, che precederà “Itaca” del suo complice Antonio. In entrambe domina il sentimento della morte, nella prima espresso, potrei dire di scorcio, con pudore estremo, come fatto personale, in quella di De Luca, invece, con la consapevolezza che si tratta di un evento cosmico, di ricongiunzione più che di rottura. Sono liriche di commiato, però, almeno questa è la mia impressione, non esprimono tristezza, il senso della perdita, ma potrei dire, della ripartenza, e l’illustrazione, del bravissimo Riccardo Simi, è su questa stessa lunghezza d’onda. Il verso finale di Itaca fa da suggello al libro e al mio intervento: “Atena copre di luce l’isola e il fato è compiuto”. Grazie.

La poesia dell’errante

Ponza ben si confà alla presentazione delle poesie di Adespota. Perché è luogo che vide l’errante Ulisse sulle sue sponde.

Ponza non è un concetto poetico, non è l’isola – categoria astratta – in cui i poeti si rifugiano, proiettandovi gli ansimi e le ansie, per trovare serenità. No, Ponza è  realtà viva che stride al vento e si addormenta con le nenie. E’ casa, è madre, anima, dolore. E’ luogo di incontro: come è nella dimensione propria dell’isola. Qui si incontrano I due poeti, e parlottano coi loro versi, inebriati dagli afrori che l’isola  nella memoria classica ha prodotto, dalle malìe che I versi nella letteratura hanno irretito altri poeti, erranti  anch’essi.

L’Ulisse del professore Simi trae dall’errare per i tragitti mediterranei la sicurezza d’ essere uomo gradito agli dei e dunque segnato da un destino, contorto e doloroso, ma già trascritto nella tela della sorte. Antonio  scrive ogni giorno il suo destino. A naso, seguendo i profumi del Mediterraneo. Orecchiando il frangersi dell’onda. Tenendo dietro al profilo del sole all’orizzonte.

In Adespota c’è poesia dell’uomo che sa d’essere un eroe, e quella di un uomo la cui eroicità è la vita.

Francesco De Luca

Presentazione del libro di poesie “Adespota”, di Andrea Simi e Antonio De Luca
Ponza 15 Giugno 2012.
Il palco è stato allestito nello scalo d’alaggio sotto Piazza Pisacane, la serata è splendida e già alle 20,30 arrivano gli ospiti, accolti e invitati ad assaggiare un vino rosé del Fieno oppure uno champagne di San Gregorio. C’è un’aria di allegria, si partecipa all’evento con una certezza: quella di essere co-protagonisti di una serata di poesie, quindi di sentimenti e amicizia.
Cala il silenzio, le luci illuminano sul palco una scenografia con dei tavolini e delle sedie, un bar dove si beve, si legge e si vive la letteratura e di questa la perla più rara, più sofferta: la poesia.
Sale sul palco il presentatore della serata, Marco Aglietti che con fare istrionico dice: “…questa presentazione doveva essere fatta al Partenone, ma poi non si è combinato ed è venuta fuori, felicemente, Ponza che non solo non ha niente da invidiare al Partenone ma addirittura è sicuramente più attinente al tema e più gradita a noi tutti”.
Viene invitato a salire sul palco il Sindaco di Ponza Vigorelli, che tra l’altro compie oggi sessant’otto anni, sottolineato dal pubblico con un applauso caloroso. Il Sindaco dice: “…la poesia è un tuffo nel mio passato, nella mia infanzia, quando a casa di mio padre, Giancarlo Vigorelli, giravano poeti come: Ungaretti, Quasimodo, Pasolini. Papà ha pubblicato Ungaretti, Pasolini poeta. La poesia interroga il mistero: e la poesia sconfigge il mistero, l’ignoto…. Prometto per Ponza un futuro di cultura e nuove strutture per sviluppare la cultura”.
Poi è la volta di Franco De Luca che parla del libro di poesia visto da Ponza: “isola che ha visto millenni fa camminare Odisseo, ma è stata da sempre terra nel mare, fatta di uomini di mare. Il poeta Simi usa le emozioni per sviluppare la sua lirica, Antonio è un divoratore di quotidianità e in questa tenta di costruire un’esistenza. Nel libro i due poeti si rimbalzano emozioni e ci trasmettono magie mediterranee.”
Il presentatore ci parla dell’importanza di sostenere l’iniziativa di recuperare il Faro della Guardia e poi viene chiamato Francesco Cordella a leggere una presentazione del libro di Poesie di Rocco Familiari, uno studioso grecista che non è potuto essere presente questa sera. Un intervento di elevato spessore tecnico-culturale.
Poi è la volta di Simone Perotti, scrittore e amico dei due poeti il quale dice che: questo libro inizia a colmare un vuoto enorme, dopo i sei libri dell’Eneide nessuno ha più scritto di mare….. I grandi poeti non si sono fatti affascinare dal mare,…. noi avevamo una vera lingua di tutti i marinai “il Sabir” e con questa lingua che si parlava in tutti i porti del Mediterraneo….. Siamo in Europa, ma la nostra cultura è e rimane Mediterranea, abbiamo più cose in comune con l’altra sponda del mare che con il nord Europa.
Sale sul palco l’attrice Mita Medici che insieme al coro costituito da studenti dell’ITC di Ponza legge alcune poesie del libro.
I Burattini: “l’amara constatazione appare aprendo una finestra, uomini come pupazzi impazziti”.
Nemesi Mediterranea: una scelta di vita “vivere sospesi tra il cielo e la terra, mi nutro di succo d’uva frutti di mare e lettere d’amore”.
Andata e Ritorno: grande nostalgia dell’estate dei fuochi d’artificio a festeggiare l’evento che è l’innamoramento che è sempre gioventù. “L’autunno arriva il cuore impazzito ruota sull’esile stelo dei sogni”.
Nostòs: Ulisse stirpe divina scampò morte e sventura per tornare alla sua Itaca” e vendicare il suo onore.
Pausillipon: si parte per un lungo viaggio, si parte da una madre “la vita è un viaggio sperimentale fatto involontariamente”.
Dana: è il ricordo molto intimo di un amico, un fedelissimo amico, il cane… “Il teatro vero delle tue furibonde corse, il prato risuona di latrati, richiami e rochi versi di cornacchie”.
Itaca: ancora Ulisse “ero il partire e il restare l’errante volere degli dei”
Istanbul: ricordo di un viaggio, di una città descritto in forma surreale.
Dopo le splendide poesie vengono chiamati sul palco i due poeti, Andrea Simi ringrazia tutti con molta commozione, Antonio De Luca molto emozionato oltre a ringraziare il pubblico, i ragazzi del coro, gli editori, il Sindaco, ricorda i suoi amici di infanzia… Poi fa un appello alla nuova Amministrazione sull’importanza di investire nella cultura e riprendendo una frase di Italo Calvino conclude: “…senza memoria, senza cultura una comunità è destinata a diventare un villaggio turistico in mano a pochi speculatori e così finisce la sua storia.”
Vengono offerti fiori all’attrice Mita Medici e targhe ricordo offerte dall’amministrazione comunale ai poeti, la serata termina sul palco per continuare in amicizia, poesia e altro al Winspeare Club.

Vincenzo Ambrosino