Da Ponza Racconta
di Rosanna Conte
Sabato pomeriggio, a Napoli, c’è stata la presentazione di Adespota, raccolta di poesie di Antonio De Luca e Andrea Simi che già conosciamo attraverso la recensione fatta da Vincenzo Ambrosino su questo sito il 16 giugno 2012, in occasione della presentazione avvenuta a Ponza
Ne riparliamo da angolazioni diverse: il luogo della presentazione, l’evento in sé e, naturalmente, il contenuto.
Antonio De Luca e Andrea Simi
Parlare del luogo non è dettaglio da poco.
Si tratta della sede della Fondazione Mediterraneo , un’Organizzazione internazionale Onlus che dal 1994 promuove il dialogo e la pace nel Mediterraneo e nel mondo.
La sua sede centrale si trova a Napoli, perché è stata fondata da un napoletano, Michele Capasso che ne è anche il presidente, un architetto che con grande abnegazione, spirito d’iniziativa ed anche genialità, oltre a proiettare la Fondazione a livello internazionale – se volete saperne di più, potete entrare nel sito – www.fondazionemediterraneo.org – ha creato una sede fantastica, dove esiste un Museo dedicato all’Arte, alla Musica e alle Tradizioni del Mediterraneo, il MAMT.
I due poeti con l’arch. Michele Capasso
La presentazione di Adespota in questa sede è il riconoscimento che la poesia di Antonio ed Andrea parla sì all’uomo in generale, ma coinvolge direttamente chi abita il Mediterraneo.
La comune matrice storico-culturale dei popoli che si affacciano sulle sue sponde, o ne sono a ridosso, affonda le sue radici nello Shat el arab del Golfo, passa attraverso il Medio Oriente, l’Egitto, la Grecia, Roma, il mondo arabo, e l’uomo cantato in Adespota è incardinato in questo contesto, bagnato e sommerso dalle acque di quel mare che ne è il centro.
Quindi non ci meravigliamo se il presidente Capasso, nel suo intervento, ha espresso la volontà di far tradurre il libro in arabo: la sua lettura contribuisce a far meglio conoscere l’uomo mediterraneo della sponda europea ai popoli arabi dell’altra sponda, e ciò rientra fra i compiti che la Fondazione si è attribuita.
Lo svolgimento dell’evento è stato inappuntabile.
In momento della presentazione al MAMT
La presentazione a cura di Luca Mazzà, vicedirettore di RAI 3, è stata gradevole, circostanziata, precisa ed ha introdotto e punteggiato la serata fornendo le notizie necessarie ad inquadrare gli autori.
Il prof. Francesco D’Episcopo, docente di Letteratura italiana e Letteratura comparata presso l’Università Federico II, ha tracciato il grande quadro in cui inserire con sapiente analisi gli elementi salienti ed i particolari del discorso poetico di Adespota: il mare come metafora della vita e della poesia, attraversato dai marinai della parola, i poeti, che, come il moto delle onde, vanno e vengono toccando i loro porti, le loro creazioni poetiche. Dalle poesie di Adespota emerge chiaramente che il Mediterraneo non è solo la culla del classicismo, ma è il classicismo stesso perché in esso i due poeti ritrovano il passato, il presente e il futuro confusi e sovrapposti in un insieme che non distingue lo scorrere del tempo ed assurge all’impronta dell’eternità, proprio come il mondo classico. Se è nel mare che è nata la vita, nel Mediterraneo è nata, come in onde amniotiche, la nostra poesia.
La serata è stata, inoltre, resa gradevole dalla lettura di alcune poesie tratte dal volumetto, fatta da tre attori del Piccolo Teatro di Milano: Carmen di Marzo, Stefano Onofri e Francesco Maria Cordella.
Col sottofondo musicale donato dal vivo al pianoforte da Michele Capasso e con l’ausilio di un microfono storico, essendo stato usato da Frank Sinatra, abbiamo così potuto godere di tre interpretazioni che il pubblico ha calorosamente applaudito. Nella parte conclusiva, Francesco M. Cordella, che ha letto per ultimo in un percorso ascendente di bravura, ha informato il pubblico, abbastanza variegato, dell’iniziativa che l’ha visto sulla scena l’estate scorsa a Ponza con la compagnia ACTS e dell’intenzione di continuare per apportare il suo contributo culturale all’isola.
Volti ponzesi tra i partecipanti all’evento
A fine serata, mentre in metropolitana raggiungevo gli amici del sabato sera, ho ripensato, in contrapposizione col vociare dei giovani che si recavano al raduno serale, ai versi di Adespota, i versi “senza padrone”, scanditi a due voci fra loro confuse, che cantano quel magma della vita che la sorte e la storia hanno voluto che fosse innestato nel Mediterraneo.
Se il mare, in quanto “onde amniotiche”, è il luogo per eccellenza del rimescolamento degli elementi e tutto quanto travolge lo trasforma e lo restituisce alla terra con altre figure e funzioni, anche la poesia di Adespota fa questo lavoro: le parole sgorgano da un mondo interiore che si è nutrito di terra, di mare, di mito, di storia e “arpionano” percezioni, sensazioni , affetti che la vita per scelta o per fato ha scritto sotto la pelle dei nostri poeti, “polpa di legno”.
Il Testo primordiale a cui essi attingono è un paesaggio terraqueo in cui la creatura anfibia che vi abita annega e si strugge; ne conosce gli anfratti e le voci al punto che anche il silenzio e l’assenza non sono elementi privativi, ma luoghi gravidi del senso che la sintesi umana riesce ad estrarne.
Allo stesso modo della poesia, la vita è percepita come l’onda del mare che va e viene: si parte e ritorna assecondando la voce interiore che è l’eco del fato, una forza anarchica che fa scivolare il poeta nello spazio e nel tempo senza una rotta. E’ la corporeità, tutto ciò che è materico a costituire un breve ancoraggio, quello che serve ogni tanto a stivare la vita per riprendere l’attraversamento. “Il viaggio sono io senza frontiere”.
Dove esso porti il viandante-marinaio, l’anfibio, non è dato sapere: “I segreti di un viaggio non hanno porti sicuri e nulla possediamo se non rotte di desideri nomadi”
Diverse sono le poesie che, citando altri poeti, suggeriscono risposte non esaustive.
Odisseo ha potuto scegliere il Nostos – il ritorno a casa lasciando una scia di morti.
Fleba il Fenicio (La morte per acqua, da La terra desolata di T. S. Eliot), che ha perso i remi della vita, mentre è disfatto dall’acqua, abbandona per sempre il suo stivaggio che l’onda inesorabilmente dissolve; la sua carcassa sussulta ancora, ma è tutto finito.
E’ vero, può esserci anche la scia della storia che, come dice Calvino, è fatta dal nostro agire quotidiano, da tutto il nostro stivaggio.
Ma nemmeno il richiamo a “I tuoi occhi” (da Poesie d’amore) di Nazim Hikmet, che è un affondo nella vita sofferta dell’uomo, quella segnata dalla storia, da un progetto futuro, riesce a fermare il poeta che scivola via come l’acqua, restando straniero in quei mari e quelle terre che hanno conosciuto Omero, gli argonauti, l’ecumenicità araba, cioè le radici del suo mondo.
E’ la storia “viandante” di eredità paterna, che non gli consente di possedere il tempo e, senza il tempo, lo stivaggio, cioè tutto quello che è l’essenza dell’individuo, non assume un ordine e non è riconoscibile, se non nella sua confusa totalità.
I rarissimi segni di punteggiatura costituiscono l’espressione di questa atemporalità, ed è la cadenza prosastica a irretire e tessere quanto rischierebbe di svaporare nella pura successione delle parole.
Uscendo dalla metropolitana, travolta dalla marea umana in cerca delle emozioni del sabato sera, penso che i due poeti di Adespota sono fortunati perché, pur attraversando senza bussola questa caotica e insulsa vita, hanno trovato un’asse da equilibrista che consente loro di procedere mantenendo il loro stivaggio: la poesia.