De Luca e Limonov, da Torino a Capri: l’incontro del poeta col rivoluzionario

Eduard Limonov è morto. Di lui conservo un ottimo ricordo e l’entusiasmo che mi ha dato ad essere e vivere da poeta. A vivere sempre tra quei limiti, tra una ragione e il suo impulso rivoluzionario, a rimescolare il tutto, a pensare e non pensare. A saper essere per strada. A vivere, che non tutto è dovuto, e il pericolo è in agguato.

Con lui ebbi anche una approfondita conoscenza storica sulla Russia dalla fine dell’Urss all’era Putin, grazie all’amico giornalista Marc Innaro che ci faceva da interprete. Marc è un giornalista e anche scrittore, acuto e approfondito, ha una grandissima conoscenza sulla Russia e i paesi arabi dove è stato corrispondente Rai. Non faccio che ripetergli di scrivere quanto prima i suoi anni in Russia.

Di Eduard Limonov, chi vuole conoscerlo, consiglio i suoi libri e tutti i siti che ormai dilagano sulla sua vita e le opere.

Io conobbi Limonov alla Fiera Internazionale del Libro di Torino, avevamo lo stesso editore, Sandro Teti. Di lui conoscevo poco se non il libro che gli aveva dedicato in Francia Emmanuel Carrère. Lui presentava Zona Industriale, io Navigare la rotta. Ci presentò Sandro, gli disse che ero un poeta mediterraneo e che trascorrevo gli inverni come un vagabondo tra i porti a scrivere poesie.

Da quel momento a Torino per una settimana circa non ci perdemmo di vista. Certo lui era super richiesto, aveva molte conferenze stampa, interviste alle televisioni di mezzo mondo. Firmava centinaia di autografi, soprattutto a giovani. Io vivevo in tutto questo all’ombra della sua fama. Essere poeta amico di Limonov era per il pubblico della fiera del Libro, e anche soprattutto per me, qualcosa tra la realtà e l’irreale. Un superfortunato.

Lesse le mie poesie in russo, poi mi fece la dedica sul suo libro, io sul mio. Mi chiese dove vivevo e se fossi mai stato in Russia. Se avessi avuto esperienze a vivere senza soldi o mai fossi stato in una galera o in esilio. Convenimmo entrambi che per noi il denaro non aveva quel significato e valore che oggi il sistema economico pretende.

Per lui scrivere poesie era giustamente vivere l’oltre e non avere una vita normale. Per lui un poeta doveva quantomeno una volta conoscere qualche galera o qualsiasi privazione. Un uomo normale non scrive poesie, disse Limonov. Gli rispose in russo Marc Innaro che la mia strada erano i porti del Mediterraneo e che non me l’ero passata sempre bene. Insomma un poco di buono ero stato anche io. Anche io avevo avuto anni difficili.

Aggiunsi in francese che all’isola di Ponza, dove trascorrevo gran parte dell’anno, c’erano stati tempi, non molto lontani, che si viveva una democrazia non sempre applicata e diffusa. E spesso la politica rappresentava più un comune del feudalesimo medievale che una Repubblica nata dopo gli anni del fascismo, e che culturalmente il fascismo in Italia si era solo nascosto, pronto a tornare. E questo, per il mio pensiero, l’isola stava diventando come vivere in una galera, guardato a vista dagli aguzzini di turno.

Gli raccontai che a Ponza avevo un rifugio, lontano da tutto e da tutti, proprio come quello del poeta Lawrence Ferlinghetti in California, fuori San Francisco. Nella sua baracca-rifugio Ferlinghetti ospitava scrittori e musicisti e attori che frequentavano la sua casa editrice. Limonov aveva conosciuto Ferlinghetti, nei suoi anni in America. Anche Ferlinghetti aveva conosciuto la galera per la sua attività culturale. E anche io, come il poeta Ferlinghetti e primo editore di Jack Kerouac e Allen Ginsberg, ospitavo scrittori, amici e viaggiatori nella mia tana, dove si era soliti, tra bicchieri di vino e una poesia, mettere in dubbio le scomode certezze. Un giorno avrei ospitato pure lui, gli dissi. Mi invitò a Mosca.

L’opera e la vita di Limonov, si possano condividere o no, è un’opera che fa pensare e tiene la mente sveglia. E soprattutto ora, nel momento storico che viviamo. Personalmente non condivido in lui alcuni tratti, quelli più marcatamente provocatori, ma ammiro la forza e l’onestà rivoluzionaria.

Di lui ricordo la lezione sulla politica estera di Putin. A Capri andai con Limonov nel 2019. Voleva andare nell’isola che fu di Gorsky e Lenin, dove nacquero i germogli della più grande rivoluzione della storia del ventesimo secolo. A Capri conobbi un Limonov diverso, anche se appariva la sua malattia e si percepiva una sofferenza trattenuta dal suo abissale coraggio.

A Capri Limonov era libero di tutto il tempo. Non aveva appuntamenti per interviste e incontri. E libero da questi impegni si lasciò andare a raccontare molto di sé e della sua vita a Mosca.

L’uomo libero ritornava sulle strade. Mi disse che lui poteva vivere in un lussuoso albergo o anche sotto un ponte, o in una galera. Per lui non cambiava niente, ora era solo un problema di salute. Erano ben altre le cose che contavano per Eduard Limonov.

Sono felice e orgoglioso di aver incontrato e conosciuto Limonov ed essere andato con lui a Capri, per me è un viaggio nel tempo e nella storia di chi la storia l’ha fatta e l’ha vissuta sul suo corpo. Che meraviglia ascoltare e vedere il bolscevico Limonov, nemico prima e amico poi di Putin, sotto la statua di Lenin, davanti al Mediterraneo. Qui dove si preparavano i moti della rivoluzione bolscevica noi in silenzio, al fruscio del vento tra i pini, sopra un mare che spumeggiava di vento freddo.

Il filosofo Diego Fusaro, di cui stimo il pensiero e l’eloquenza, mi scrisse che sarebbe stato per lui un onore conoscere Limonov, e che ero stato fortunato a conoscere la poesia di Limonov. Non so se questo incontro è avvenuto l’inverno scorso. Ma sarebbe stato molto interessante il loro dialogare.

Il pensiero rivoluzionario di Limonov serve all’uomo, quanto il suo coraggio e la voglia di cambiare il mondo. Ogni pensiero che porta una rivoluzione serve all’umanità. L’ uomo per evolversi deve pensare anche rivoluzionario. E questo è il compito che l’arte si assume. Tutta l’arte è arte se porta a riflettere, a pensare, a guardare il mondo da altre visioni.

La vita di Limonov è impregnata di arte, perché è impregnata di follia, e la follia nutre l’arte. Io che mi trascino addosso il mondo greco, le inquietudini pessoiane, l’amore nerudiano, e la bellezza letteraria e umana di Predrag Matvejevic, ora aggiungo il coraggio esistenziale di Eduard Limonov. La sua rivoluzione del rifiuto, costi quel che costi.

Da h24notizie.com

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