Dopo duecentocinquanta anni l’ingegnere Antonio Winspeare ritorna a Ponza.
L’aveva lasciata alla fine del 1700.
Aveva progettato e fatto costruire il porto, la chiesa, la passeggiata, le opere pubbliche.
Il suo porto, un esempio urbanistico di razionalità e bellezza creativa.
Tutto del Winspeare è ispirato all’arte classica romana.
Ispirato alla Pompei che veniva fuori dalle ceneri del Vesuvio. All’Atene di Adriano.
Ma cosa trova adesso Antonio Winspeare, cosa è rimasto della sua ragione, del suo pensiero, delle sue opere. Trova, dopo appena due secoli. uno scempio totale. Cenere.
Completamente distrutto negli anni il suo vecchio progetto. Ne rimane la forma esedra del porto. La magia di un Mediterraneo. Il pensiero winsperiano nelle strutture portanti del centro storico.
Il convegno sulla figura dell’ingegnere Antonio Winspeare e la sua importanza storica è giustamente organizzato dalle varie associazioni culturali e politiche presenti nell’isola. Un atto dovuto alla cultura mediterranea del Mezzogiorno, alla sua storia. Un sentito grazie all’organizzazione e ai professori presenti. E soprattutto agli eredi Francesco ed Eduardo.
Tutti nella sua chiesa, a parlare di Lui e della sua ragione urbanistica con studiosi e storici.
Una chiesa che pensò a forma di un piccolo pantheon. E che l’uomo barbaro e brutale del primo novecento, ha rovinato con varie aggiunte, fuori da ogni logica e sentimento religioso. Oggi una cosa simile sarebbe improponibile.
Purtroppo la chiesa oggi è in uno stato di assoluto degrado che mette a repentaglio la sua stessa struttura. La chiesa del Winspeare è decisamente in pericolo.
Urge l’intervento dello Stato. Ed anche per questi motivi l’evento di questi giorni acquista a mio parere una grande importanza culturale.
Fa sempre bene all’uomo parlare e riflettere sulla storia. Denunciare le assenze delle virtù e della giustizia. Osannare la gloria. Soprattutto quando ci sono le persone giuste a dettare conoscenze e pensieri. Studio e meraviglia.
Da quando venni a conoscenza dell’Urbanistica di Antonio Winspeare, e del suo pensiero, negli anni 70, me ne innamorai. Fui conquistato dalle sue ragioni. Dalle forme di quella urbanistica destinata all’uomo.
Non azzardo a dire che Winspeare e Le Corbusier hanno una qualche comune radice. Antonio Winspeare fu anche un traduttore di Anacreonte, e scrisse un libro sulla eruzione del Vesuvio del 1794. E questo mi affascinava.
Purtroppo ho notato che durante l’evento nella chiesa da lui progettata, molte persone dormivano e molte stavano a chattare o a guardare il vuoto in attesa di chissà cosa. Forse a far passare il tempo. Anche l’acustica aveva difficoltà a raggiungere tutto il pubblico. Ma ogni discorso sull’ingegnere scorreva bene a illustrare la sua arte, il pensiero, la sua storia.
Illuminante l’intervento di Edoardo Winspeare. Questa la dice lunga sul pubblico presente in certe manifestazioni culturali. Non sempre il pubblico rappresenta l’importanza dell’evento a cui assiste.
La manifestazione mi ha dato modo di incontrare gli eredi dell’ ingegnere Antonio Winspeare. Sono stato felice ed entusiasta di trascorrere con loro le poche ore.
Ci siamo ripromessi di incontrarci presto. Considerando i molti interessi che ci accomunano, e l’amore per la nostra terra.
Nel 1985 a Ponza fondai il Winspeare Monk Jazz Club. Un locale alle banchine winsperiane facente parte dell’urbanistica del porto. Eredità della famiglia materna.
Innamorato dell’architettura di Antonio Winspeare, e soprattutto di quel piccolo pantheon, che era la chiesa circolare con la cupola a scaglie di argilla rosse. Decisi così di intitolare all’ingegnere il locale ad archi concentrici che avevo restaurato. Rispettando le linee guide del suo pensiero. Per me quella chiesa che apre il camminamento sul porto, rimaneva e rimane un pantheon.
Gli archi sulla passeggiata del porto, ora scomparsi, portavano il pensiero alla urbanistica di Pompei ed Ercolano, all’architettura della villa di Adriano a Tivoli, alla biblioteca di Adriano ad Atene. Tutti argomenti che mi appartengono.
Poi Monk Thelonious rimane il mio musicista jazz geniale. E non potevo non dare il suo nome ad un locale che del Jazz avrebbe fatto il marchio distintivo. L’opera prima.
Nel locale avevo fatto fatto restaurare persino una nicchia dai colori pompeiani, sempre di età borbonica. Dentro ci misi cinque lettere in ottone. MOZART era scritto. E sempre una rosa rossa era lì a ricordare il più grande della musica.
Il Winspeare Monk Jazz Club fu un locale che accoglieva viaggiatori, artisti, musicisti e vagabondi da ogni parte del mondo. Si poteva incontrare gente di ogni razza. L’avventura ci abitava.
Velisti che passavano dal loro giro intorno al mondo. Si fermavano a raccontare le loro storie. Artisti potevano esporre le loro opere. Poeti declamare le loro poesie. Si presentavano libri. Libri di poesie erano a disposizione di chi era interessato.
Un pianoforte fuori orario aspettava qualcuno che lo facesse suonare tra il rumore delle onde del mare. Come ebbe a dire il critico musicale Ira Gitler sul New York Times. Il Winspeare Monk Jazz Club accolse grandi musicisti provenienti da esperienze nazionali e internazionali.
Dopo Umbria Jazz molti venivano a suonare al Winspeare Monk Jazz Club. Si accontentavano di piccoli budget.
Il quotidiano Repubblica seguiva il cartellone con recensioni quotidiane. Ares Tavolazzi contrabbassista, fondatore degli Area insieme a Demetrio Stratos, e musicista di Paolo Conte, di Vinicio Capossela, Mina, Francesco Guccini, fu una assidua presenza.
Fabrizio Sferra fu batterista in Italia di Chet Baker. Collabora con Enrico Pieranunzi, Maurizio Giammarco, Lee Konitz. Toots Thielemans, Paul Bley. Fabrizio ha suonato in festival jazz di tutto il mondo, nel 2001 con Danilo Rea e Pietropaoli bassista rappresenta il jazz italiano nella storica Town Hall di New York.
Fabio Zeppetella chitarrista e fondatore degli Area 2. Ha collaborato e collabora con Alfonso Gatto, Lee Konitz, Steve Grossman, Enrico Rava. Un maestro della chitarra. Vanta festival Jazz in tutto il mondo da Osaka ad Abu Dhabi. Con Zeppetella e Sferra ci siamo frequentati anche dopo. Negli anni che vissi a Roma.
Dario Deidda è uno dei più grandi bassisti del mondo. Con lui ebbi un rapporto speciale. Taciturno ma simpatico e di grande spessore. Un intellettuale. Venne a Ponza dopo aver suonato con Michel Petrucciani. Vantava un alto curriculum. Suonava con Marcus Miller, Pino Daniele, Ivano Fossati, Tom Harrell, Vinnie Colaiuta. Ricordo che al mare si nascondeva tra gli scogli. Il sole forte gli dava fastidio. Dario aveva un carattere allegro. Metteva buon umore. Piacque subito ad Ira Gitler.
Ramberto Ciammarughi suonava il piano. Un nobile, grande classe. Grande eleganza. Ciammarughi si interessa anche di musica contemporanea.
Ha girato il mondo collaborando con musicisti e cantanti del calibro di Dee Dee Bridgewater, Steve Grossman. John Clark e altri in festival jazz ovunque. A Monaco fece un concerto da solo. Ciammarughi suona in tutto il mondo, dal Giappone al Sud America. È compositore e arrangiatore.
Con questi la notte ci fermavano a chiacchierare a raccontarci storie. Io cucinavo e insieme facevamo l’alba. Bevevamo il mio vino. Loro avevano tanto da raccontare.
Ares Tavolazzi ci raccontò i suoi anni per le strade a New Orleans. Il primo concerto con Paolo Conte. Mi regalò cassette inedite di registrazioni degli Area dove la voce di Demetrio Stratos mi faceva venire i brividi.
Fabrizio Sferra raccontava i giorni vissuti con Chet Baker nel suo ultimo concerto. Tanti altri passarono per il Winspeare Monk Jazz Club. Gli anni son passati e molto ho dimenticato.
In quelle estati degli anni 80, alla solita ora arrivava Lucio Dalla e si fermava fino a tarda sera. Spesso notavo che scriveva qualcosa su pezzi di carta. A volte scambiava frasi con i musicisti e si soffermava a parlare. Qualcuno lo riconosceva e chiedeva un applauso per il maestro. Lucio si alzava e con un accenno di garbato inchino ringraziava.
A notte fonda arrivarono Raul Gardini e la moglie. Stavano ad aspettare l’alba con il sottofondo degli striduli di Miles Davis, la voce di Billie Holiday e Sarah Vaughan.
Gigi Proietti spesso si esibì in Jam session con I suoi amici musicisti.
Il musicista e compositore canadese Howard Jones, Oscar per vari film, collaboratore di Martin Scorsese, venne a sposarsi qui. Io gli feci da testimone tra le note di Ornette Coleman. Venne a trovarmi qualche anno dopo.
Nel mio rifugio a Punta Fieno Howard mi raccontava di Ornette Coleman e Thelonious Monk che aveva conosciuto a New York.
Ira Gitler nelle sere al Winspeare mi parlava di Miles Davis, Chet Baker e Charlie Parker che aveva conosciuto personalmente.
Ira Gitler è uno dei più grandi critici musicali. Le sue recensioni erano dietro i dischi a 33 giri di Miles Davis. Venne a Ponza, gli avevano parlato a Siena Jazz di questo piccolo locale sul porto dove si ascoltava un ottimo jazz. Facemmo grandi e lunghe disquisizioni sul bebop. Il bebop era la musica di Kerouac e della beat generation. Di Jackson Pollock. Dei sognatori americani di allora. Anche il mio. Che scrivevo versi per le strade del Mediterraneo.
Il pittore Mario Tarchetti, uno dei fondatori a Napoli del Gruppo Sud, era un frequentatore del Winspeare Monk Jazz Club. Diceva a tutti che le linee urbanistiche del Winspeare, gli ricordavano il luogo dove si ritrovavano a Napoli quegli intellettuali e artisti che tanto diedero alla cultura italiana. Basta ricordare Francesco Rosi, Raffaele La Capria, Anna Maria Ortese, Titina De Filippo, e pittori come Renato de Fusco, Guido Tatafiore, Federico Starnone, Renato Barisani e tanti altri che rivoluzionarono la pittura napoletana. Pietro Tarchetti fu uno di questi.
Lo scenografo ponzese di Bernardo Bertolucci, di Giuseppe Patroni Griffi, di Costa Gavras, Gianni Silvestri ci portava a vedere i bozzetti per l’Ultimo imperatore. Ci raccontava le imprese per girare Il the nel deserto. Una sera ci presentò Debra Winger. Ci raccontarono della scena finale nel deserto marocchino della morte di John Malkovich e dell’entusiasmo di Bertolucci.
Molti pittori di strada provenienti dal sud America e dall’Asia feci esporre tra le pareti winsperiane. Molti giornalisti e scrittori frequentavano il Winspeare Monk Jazz Club. Politici del socialismo napoletano e non solo frequentavano il Winspeare.
Era evidente la mia cultura socialista. Attraeva politici e critici. Il locale nel tempo si fece fucina di un nuovo pensiero politico e culturale ponzese. Naufragò il tutto con il colpo di Stato della Magistratura. La cosiddetta mani pulite. La fine dei partiti e delle idee.
Ma soprattutto il mio bisogno di allontanarmi dall’isola che sempre più mi era stretta. E poi l’isola aveva iniziato a precipitare in un nuovo turismo che non prometteva niente di buono.
La mia partenza per i porti del Mediterraneo fu inevitabile. Lisbona, Marsiglia. Istanbul, Beirut, Tangeri, Barcellona, Buenos Aires mi accolsero. Mi invitarono a vivere ogni oltre. Un cosmopolitismo innato. Queste città mi diedero conoscenza, poesia, amore e cultura.
Il critico e scrittore Vieri Razzini trascorse le sere al Winspeare Monk Jazz Club. Poi mi mandò qualche anno dopo a Lisbona. Wim Wenders girava Lisbon Story. L’aveva intervistato qualche giorno prima per Rai3. Con lui trascorrevo le notti a parlare di cinema.
Di Vender, Fassbinder, Herzog. Del cinema francese. François Truffaut, Godard, Chabrol, Rohmer.
Per circa cinque anni questo locale, che portava il nome di un allora semisconosciuto ingegnere inglese, chiamato alla corte del Re illuminato nella Napoli del 1700. E vissuto alla scuole del Vanvitelli e del Carpi. Portò aspetti di vita di artisti e musicisti dal Mediterraneo di Ponza nel mondo.
Il Winspeare Monk Jazz Club ha fatto incontrare gente da tutti i continenti.
Per l’evento dei 250 anni di Antonio Winspeare ho rincontrato con molta felicità gli eredi Francesco ed Edoardo, a cui sono legato da sincera stima. Nel loro Salento dove hanno scelto di vivere, moltissimo fanno per la cultura.
Presto insieme proporremo nel Salento ellenistico la mia poesia mediterranea e quel Jazz che ci accompagna nei difficili sentieri dell’anima. E che ci dà la tristezza e l’orgoglio di vivere. Serve anche quel nobile sentimento di tristezza per conoscere la gioia.
A Ponza, in Italia e nel mondo, Antonio Winspeare ingegnere alla corte del Regno delle due Sicilie continua a vivere e far sentire la sua voce. Oggi ne abbiamo bisogno più che mai.
Ogni bruttezza ci sta uccidendo. La bellezza può salvarci.
Oggi il Winspeare Monk Club Jazz continua a fare la sua arte in un mondo che cambia.
E non sempre è un mondo migliore in un’isola migliore.
Ma abbiamo sempre bisogno della bellezza dell’arte, della musica e dei luoghi sani. Dove il pensiero ha la possibilità di confrontarsi e crescere in libertà e giustizia.
Quel locale di origine borbonica, nato dalla ragione dell’ ingegnere illuminato, esiste ancora.
E per sempre sarà un’Agorà in mezzo alle onde, tra barche e salsedine, ad accogliere artisti e pensatori. Con musica, whisky torbati, rhum e pesce crudo.
Il Winspeare Monk Jazz Club esiste nel Mediterraneo che l’ha partorito. Esiste tra le onde, in cui le note di Ornette Coleman lo esaltano tutt’ora alla gloria del jazz e della poesia.
Oggi ci sono le nuove generazioni, Simone Cristicchi, Federico Zampaglione, Niccolò Fabi, Pier Cortese, Alessandro D’Orazio, Antonello Aprea. Vauro ci trascorre le sere. Questi bravi artisti sono il nuovo respiro del Winspeare Monk Jazz Club.
Il Winspeare ora artisticamente non mi appartiene più. Lo vivo di ricordi, di quegli anni. Mi appartengono indelebili. Me li conservo addosso.
Al Winspeare Monk Jazz Club Utopia è ancora una speranza. La mia fede anarchica per un uomo migliore è ancora lì. È viva e si fa sentire.
La tromba di Miles Davis e il sax di Charlie Parker, la musica di Joe Zawinul, il Take Five di Paul Desmond e Dave Brubeck, le mani ancestrali al piano di Thelonious Monk, la voce di Nina Simone continueranno a vivere all’aria salmastra del porto di Antonio Winspeare. Solo per l’arte. Solo per l’uomo. Il suo cuore la sua anima.
L’amore per la vita. Il suo esistere.
Il jazz appartiene alla letteratura.
È primordiale. Come la poesia.
Pubblicato su h24notizie.com