Recensione di Rosanna Conte – da Ponzaracconta
Navigare la rotta in meno di otto mesi è alla sua seconda edizione. Di nuovo ci sono quattro nuove poesie che ne sostituiscono altrettante e l’arricchimento della quarta di copertina col lusinghiero commento di Luciano Canfora, che definisce la raccolta – Un testo appassionato e appassionante. Un tributo alla grecità – e l’opinione di Paolo Mieli: Un magnifico libro. Il mare di De Luca è quello da cui viene tutta la nostra civiltà.
Promotrice della nuova presentazione è stata la Fondazione Morra che ha colto in Navigare la rotta elementi di coerenza con la specificità delle sue attività e ha offerto alla lettura dei versi di Antonio De Luca e alle dotte riflessioni che l’hanno accompagnata, la sala delle Capriate del Museo Hermann Nitsch, una perla nel panorama artistico-culturale di Napoli.
Il Nitsch è un luogo in cui la Fondazione organizza produzione e trasmissione intergenerazionale dell’arte contemporanea, e per questo ha il nome di Museo-Archivio Laboratorio per le Arti Contemporanee.
Nelle sue ampie sale, ricavate da una struttura industriale dismessa, si può respirare un’aria quasi sacrale, quella che l’arte infonde negli animi o nelle viscere – visto che stiamo parlando di Nitsch – quando è esito di una ricerca che vola alto per coglierne l’essenza.
Come mi dice Antonio guardandosi intorno prima dell’arrivo del pubblico, è un vero tempio, un tempio pagano. La religiosità che ispira viene dalla macerazione dell’anima, dalla capacità esperenziale della mente che non vuole seguire una razionalità arida, incapace di dare risposte, ma si slancia, sotto l’imperiosa spinta di un bisogno vitale, oltre l’orizzonte.
Non poteva esserci migliore cornice per i versi di Navigare la rotta.
Dall’intervento del poeta Andrea Simi, che ha letto con grande afflato la bellissima Mediterranea, a quelli di Maria Gargotta e Francesco D’Episcopo, docenti della Federico II, le riflessioni hanno messo in evidenza la capacità del poeta di calarsi nella grande cultura classica con lo sguardo dell’oggi, muovendosi al suo interno con lo spirito inquieto e folle proprio del visionario contemporaneo.
E’ stato detto che i suoi versi, dove vivono voci provenienti da lontano nel tempo e nello spazio, sono straordinari non tanto per la molteplicità di luoghi che riportano, ma per come il poeta li vede, perché Antonio vede oltre, seguendo una sua rotta, quella della follia.
In lui, così pieno di creatività, c’è uno spirito dionisiaco che lo proietta al di là delle barriere del reale, verso una visione-altra del mondo dove la vita acquista una dimensione diversa e brilla nella sua sacralità.
Quanta simbologia è nell’immagine di copertina dove la testa rotta di Afrodite, la dea della bellezza e dell’amore, binomio essenziale alla vita, richiama la profanazione del Mediterraneo, oggi cimitero marino, tomba di migliaia di vite!
A chi cerca l’oltre, la prosaicità e decadenza della vita quotidiana pesano molto e il tormento spinge alla fuga. Così Antonio De Luca, nel suo intervento, esprime il desiderio di scappare da Napoli, una città che ha perso l’anima nella sua insulsa modernità. Attraversare le sue strade, questo inverno, è stato per lui angosciante e nella cupa Napoli ufficiale ha potuto sopravvivere solo immergendosi nel Museo Nitsch, che definisce tempio di un paganesimo primordiale.
Tutto è perduto? Napoli per Antonio è stato il luogo da cui è partito il suo rapporto col mondo classico; ma dove guardare per sperare in un recupero della sua anima plurimillennaria?
C’è un piccolo episodio che gli apre il cuore alla speranza. Girando fra le bancarelle di un mercatino multietnico, un giorno ha sentito usare naturalmente la lingua napoletana da un piccolo somalo.
Ecco, lo scambio fra popoli può riprendere e questo potrebbe far nascere una nuova Neapolis.
Così intravvede, in lontananza, la Napoli diversa da quella di oggi che potrà tornare ad amare.
Per ora la città in cui sta bene è Lisbona, ma il suo locus amenus rimane sempre la vigna del Fieno, luogo vitale da cui parte e a cui ritorna, dove il suo io trova il tempo-spazio in cui sta bene.
La dotta e piacevole discussione è stata intercalata dalla lettura di alcune poesie di Antonio, tra cui una in napoletano, oltre che da un canto in greco delle zone del Salento, a cura di Margherita Vicari e Irene Gallardo accompagnate da Julia Primicile Carafa col suo flauto.
Tra il pubblico tanti volti attenti e interessati, alcuni anche ponzesi.
Recensione di Vincenzo Ambrosino – da Ponzaracconta
“Il Mediterraneo è un lager e bisogna ancora dire chi è il carnefice di questo macello. Non è la storia del Mediterraneo questo accadimento come non sono la storia della Germania i lager nazisti.
Il Mediterraneo è anche la più bella culla che un popolo possa avere. Questo popolo è cresciuto attraverso questo intreccio di religioni, di pensieri, di amori, di cibi, di pane, di idee: questo è il Mediterraneo.”
E come si può salvare questo mediterraneo dai nuovi carnefici?
L’ultimo libro che il mio amico poeta ha scritto “è un primordiale pensiero di prima che il Mediterraneo diventasse il lager che oggi è”
Ecco, possiamo salvarlo attraverso la poesia mantenendo viva la memoria di quello che era questo grande mare chiuso da sponde, dalle quali sono sempre partite genti di colori diversi per incontrarsi, conoscersi e costruire una nuova coesistenza umana.
Cosa ha fatto fallire questo naturale progetto di convivenza: l’avidità di pochi uomini che oggi in giacca e cravatta si nascondano tra grattacieli di cristallo.
“Caro amico noi dobbiamo guardare il Mediterraneo poetando, cercando le giuste parole che possano degnamente descrivere questa grande cultura: questo cerca di fare la mia poesia. Ma non solo questo.
“Io ho bisogno di nutrirmi di parole che vanno alla ricerca di immagini, di ricordi, di sapori, odori pensieri, conosciuti, sognati. Parole che mi trasportano oltre la mia esistenza materiale, che mi fanno rivivere il mio bellissimo passato e se lo portano sempre dovunque io possa di nuovo approdare e come un relitto un giorno “stracquare” in rive sconosciute.”
E infatti non tutti si cibano di parole come fanno i poeti, non tutti sanno navigare oltre come fa la poesia di Antonio: “la poesia arriva dove il pensiero razionale non arriva perché un vero poeta è veggente.”
Il mio poeta Antonio continua a portare la sua poesia in giro per il mondo, e le sue parole stanno diventando sempre più lette, ascoltate, cantate, commentate e studiate.
Lui spesso mi dice: “Se non c’eravate voi io non sarei mai stato”. Io lo guardo, sorrido e quando sono solo, leggendo le sue poesie, mi commuovo.
Il Fato ha voluto che NAVIGARE LA ROTTA, seconda edizione in 6 mesi, la raccolta di poesie scritte lungo un viaggio mediterraneo, avesse la sua prima presentazione a Napoli, dopo quella della prima edizione, a luglio nell’isola di Ponza durante la rassegna “Ponza d’Autore”, condotta da Paolo Mieli e Gian Luigi Nuzzi. La Neapolis della sirena Partenope, la Neapolis virgiliana dove ho vissuto gli anni tra i più sereni e più belli della mia vita, quelli del Liceo.
E dove presentare un libro carico di quel paganesimo primordiale se non alla FONDAZIONE MORRA, al Museo Hermann Nitche. Un tempio pagano dove l’opera di Nitche è carica di quella sacralità dionisiaca e apollinea, che mai ha lasciato la mia religiosità primordiale. Una città, Napoli, simbolo del Mediterraneo, carica di ogni significato esistenziale ed estetico, del mio viaggiare tra città e lidi mediterranei.
Napoli città mediterranea, come Marsiglia, Barcellona, Atene, Tangeri, Istanbul, Palermo.
A. D.L. [Napoli 5 febbr. 2018]