Ero partito da Ponza perché volevo incontrare anche Ernesto Sàbato.
Jael, la ragazza il cui amore seguivo fino in Argentina, mi aveva detto che
era possibile.
Sàbato era stato nominato Presidente della Commissione nazionale sui
desaparecidos dal Presidente Alfonsine, che aveva riportato la democrazia in
Argentina, sino ad allora oppressa dalla dittatura militare.
La mattanza dei “desaparecidos” era stata una aberrante trovata dei militari
al potere e Sàbato aveva avuto il compito di dimostrare al mondo intero che il
popolo argentino non ne era complice.
Lo incontrai nel barrio di san Telmo a plaza Dorrego di Buenos Aires, dove lui
si intratteneva coi figli e i parenti dei desaparecidos.
Di lui sapevo che Camus lo aveva giudicato uno dei padri dell’esistenzialismo,
appreso durante il soggiorno a Parigi, dove frequentò i Curie, i poeti
surrealisti, Sartre, le avanguardie artistiche. Senza mai dimenticare la sua
provenienza e l’impegno occorrente per ribaltare quella dolente situazione.
Aveva avuto infatti frequentazioni con il Che Guevara nella regione delle
Ande, quando il Che, appena laureato, fece il giro del Sudamerica.
L’ aberrazione dei “desaparecidos” lo trovava motivato ad evidenziare non
soltanto le colpe nazionali ma anche quelle internazionali, che supportavano la
dittatura argentina di Videla, con in primo piano la Chiesa di Roma.
Ernesto Sàbato ( 1911-2011 ) è uno scrittore argentino di origine italiana.
L’incontro nel famoso café Dorrego fu molto emozionante per me e non nascondo
che quando mi strinse quella tremante mano mi commossi. Stavo davanti a un uomo
che aveva esperienze dirette di guerriglia e che aveva frequentato le
avanguardie artistiche.
Dovevo a lui parte della mia anima esistenzialista, le mie posizioni
politiche, la mia morale. Inoltre aveva avuto sempre simpatie e condivisioni
per gli anarchici: Buenos Aires era ed è ancora un ritrovo-rifugio di
anarchici, ed io la domenica mattina ne incontravo tanti. Si parlava dei
movimenti europei e degli anarchici scomparsi e delle loro mogli buttate dagli
aerei durante la dittatura, mentre il nunzio apostolico a Buenos Aires giocava
a tennis con il generale Videla.
Con lui poche battute: gli dissi che venivo da Napoli, amavo i suoi libri e
gli volevo bene. Jael mi faceva da interprete. Mi rispose che conosceva Napoli
e che il mio volto era di mare. Il caffè era pieno di giovani e adulti che
andavano a salutare il grande maestro, il padre della democrazia, l’uomo, la
morale della grande umanità.
l’Argentina poi ha processato e condannato i suoi assassini, e ha reso
giustizia alle colpe commesse.
Ernesto Sàbato era un fisico,daltronde nelle università di Buenos Aeres aveva
trovato rifugio la scuola di Einstein; ma era soprattutto un letterato. Ha
scritto solo tre libri, ma una infinità di saggi, interviste e lezioni in tutto
il mondo; quanto bastava che diventasse riferimento culturale per i nascenti
movimenti in Europa, e varie volte è stato in corsa per il Nobel.
Claudio Magris dice che la sua opera “SOPRA EROI E TOMBE” è uno dei libri
più importanti di tutta la letteratura del ‘900. Purtroppo in Italia fu tenuto
nascosto, ricordiamoci che in Italia non si scriveva facilmente di quello che
succedeva in Argentina durante la dittatura.
Se qualche giornalista o console provava a parlarne, sia l’allora ministro
degli esteri Andreotti sia il direttore del Corsera, il piduista Di Bella,
frapponevano ostacoli e silenzio.
Non si trovavano facilmente i suoi libri mentre in Europa, soprattutto a
Parigi e a Berlino, erano ricchezza negli ambiti universitari e delle
avanguardie. Per chi volesse approfondire tali argomenti posso consigliare I
FIGLI DI PLAZA DE MAYO di Italo Moretti, LE IRREGOLARI di Massimo Carlotto,
NIENTE ASILO POLITICO di Enrico Calamai, oltre ai libri e saggi di Gianni Minà.
Ora finalmente Einaudi ha rimesso in libreria SOPRA EROI E TOMBE; io lo trovai
a Buenos Aires in italiano alla bellissima libreria Ateneo in avenida Florida.
L’anno scorso è uscito PRIMA DELLA FINE, edito da SUR,un libro testamento di
Sàbato che coinvolge l’anima e il cuore davanti allo scorrere di questo secolo
dove l’uomo si ritrova sempre più esiliato nell’angolo della solitudine.
Tutta la magnificenza dell’umanità di Sàbato è nell’essere testimone-roccia
nel nostro tempo; la postfazione non da meno è del suo amico Jose Saramago,
premio nobel della letteratura. I due si incontrarono a Lisbona e, nel Diario
de Noticias, di lui, Saramago scrisse bellissime pagine.
Leggendo lo stesso Saramago, dai due traspare quel territorio comune dell’
anima straziato in cui viviamo, amiamo e soffriamo come dice appunto lo stesso
Sàbato. Parafrasando un libro dello stesso Saramago “A jangada de pedra”,
la zattera di pietra in italiano, dove l’uomo cerca di aggrapparsi dopo un
naufragio, Ernesto Sàbato alla fine della sua vita, dice che della sua
esistenza non può offrirci che assi di legno traballanti.
PRIMA DELLA FINE è un libro che consiglio, soprattutto ai ragazzi maturandi
dell’Istituto di Ponza.
In esso si prende coscienza “dello sconcerto e il senso dell’abbandono in un
universo crudele ed enigmatico. Il crollo dell’umanità in una realtà nella
quale la burocrazia e il potere hanno preso il posto della metafisica e degli
dèi”, e ogni giorno non si può non tenere conto della presenza di Ernesto
Sàbato. Termino come nel libro Prima della fine, Sàbato fa citando Holderlin:
“giorno e notte, un fuoco divino ci spinge ad aprirci la via. Su vieni!
Guardiamo nell’Aperto, cerchiamo qualcosa di proprio, sebbene sia ancora
lontano”.
Ancora oggi nei momenti in cui la mia anima cerca il mare, che mi trova in un
deserto o in una metropoli, sento la sua mano ossuta vecchia tremante forte, la
rugosa pelle scura che accarezzò e benedisse il Che-Guevara, come plasmata o
scolpita dall’arte greca, aggrappata alle mie dita al mio braccio. Lui
semicieco seduto al tavolo davanti ai figli di nessuno. Io tra i suoi ultimi
del mondo, gli vorrò bene per sempre.
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