Ultimo approdo

La terra si è estinta
non c’è più avvenire
le strade desolate
così le spiagge
le scuole e i giardini

crollano i muri
cadono i templi

giacciono le barche affondate
come inermi
carcasse di morte

i cimiteri abbandonati
all’oblio
non ci sono più i vivi
i morti più non parlano

né Aurora
pone le dita di rosa
sul mare turchese

non un volto d’uomo
dove scorre un pianto

né una voce a gridare
al destino
non una coscienza ribelle

i bambini non corrono più nella rena
a significare un cielo di stelle

non una donna sta a chiamare la sera

il sangue della virtù umana
non sento più scorrere

solo silenzio
nelle vecchie dimore
per le strade o nei vicoli

questo silenzio di morte
che mai non mi appartenne

e tutto intorno
terra di razzie

barbarie divoratrice

corro da Seferis
sulla terra di Grecia
che in questo Occidente
fu madre e maestra
a portargli
i miei versi
di paura e dolore

l’assordante travaglio
dell’annunciata agonia

È qui
l’ultimo approdo
che ancora resiste

quest’ isola

astro incessante
immenso e inafferrabile

Chi solleva i macigni cola a picco:
questi macigni alzai
questi macigni il mio fato
nella terra che mi crebbe
la terra che amo

così penso
che sia giunto
il momento
di prendere le distanze
non sopporto
questo mischiarsi

prendo il mare della lontananza
del distacco
dai conquistatori del niente

fedele solo al verso
dell’essere primitivo

questa barbarie
anche agli dei
ripugna

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