Le mie pubblicazioni

Ho una sola patria, il Mediterraneo che scrivo.
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Inno alla dea

Fa che possa o dea
sempre tornare
lì dove
laggiù sta l’ isola mia
e dove tutto ebbe inizio


sul mare di fuori
cinta dalle onde instancabili
all’ orizzonte invisibile
dove il mondo più non si conosce

nel silenzio delle isole
sta l’origine delle cose
l’origine mia della stirpe marina

nelle isole si attende
ci si allontana e poi si ritorna
il tempo scorre ma non conta
i morti sono sempre vivi
le isole sono le finestre sempre aperte sulla terra

sulle isole ci si incontra
con gli indovini e le maghe
le sirene e le muse

a Delo fu partorito Apollo

dalle rive di altre terre e di altri mari
vagabondando abbandonato come un flaneur
il viaggio scoprii
per nuovi popoli e altre vite
ma sempre
da queste rive
il pensiero va
ai muri della mia casa di pietra
come ruderi di una persa civiltà
portate con le giovanili e forti braccia erranti
ai margini di una scogliera
di un piccolo anfiteatro della valle
sull’aperto mare

dimora solitaria
e sperduta la mia
tra lentischi e mirto
ulivi e alloro
in quell’isola piccola
e lontana

ora sola è la casa
senza di me
sferzata impotente
davanti alle onde tempestose
sotto il cielo nero
che più le stelle non vediamo

penso a quei muri
a quella vita di solitudini
a quella quiete che tanto cercai
giaciglio alla mente e allo stanco corpo
dopo la fatica del giorno

nel silenzio della mia assenza
resistono al feroci venti i muri
che proteggono la casa
che la nobile madre mi donò

solo il vento salino
le aurore e i tramonti
e gli uccelli marini
le fanno compagnia
e sempre giunge loro la voce del mio cuore lontano
il respiro dell’anima mia

Restano in umana attesa di ogni mio ritorno
i libri della poesia
e le foto ingiallite
di chi mi donò la vita e la memoria
i quaderni impazienti dei versi di lotta
gli indumenti consunti
e il letto lasciato disfatto
le pentole di famiglia
e i vecchi piatti di una nave
le cose inutili degli straqui
i lari domestici

e poi gli alberi e le erbe
la vigna e il terreno da seminare
la vita del vino
le lucertole a me care
tra i muri a secco
i falchi e il passero solitario tra i dirupi rocciosi
i cani e gli asini fedeli

questa casa
è il rifugio di un uomo
che molte volte naufragò
e nulla sapeva di quello che gli sarebbe accaduto
ebbe molti dei a proteggerlo
così come la preghiera della madre
e del padre le veglie inquiete

in questo luogo
dove sempre
torno a vivere senza tempo
affondano le mie radici nella dura pietra
così le radici della madre
e quelle della madre della madre

qui nascosi la rotta
affinché nessuno portasse via la pace e la poesia
la bellezza e il mistero
e i discorsi belli
qui lasciai il mio nome perché non ha nome lo straniero

di tutto quanto
della stirpe mia
porto la memoria
e degli antichi
la saggezza del mare

solo al cieco cantore
e a quella follia che in me resiste e domina
è dovuto sapere
dov’è la casa
dove si nasconde il cuore

alle Muse
chiesi la grazia del verso
ai poeti l’amore
ai fedeli cani
il calore nelle notti di gelo

tra quei muri
come un fasciame di bastimento imprecante
nella tempesta
fu il mio destino
qui gli dei si lasciarono restare
per vivere umani con me
insieme a guardare le stelle.

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L’isola di Mariano vive

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Intervista A Sua Immagine

Puntata del 13 luglio 2024

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Ponza d’autore 2024

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Maria Picicco un’Antigone mediterranea

dal libro L’isola di Mariano di Antonio De Luca, La valle del tempo editore

Il mito è il passato, il presente e il futuro. Il mito è il tutto. Il mito è gli accadimenti di sempre, dove il divino e l’umano si intrecciano nella storia dell’uomo e ne determinano il destino.
Il teatro greco antico è la rappresentazione perfetta della vita dell’uomo e del suo destino.
Esso è dramma e amore, maledizione e dissoluzione, la vergogna e l’estrema solitudine.
Il teatro che meglio esprime la fallibilità umana e la corrosione di sé stessi, il coraggio e
l’impotenza dell’uomo, il destino contro cui spesso non si può lottare, ma allo stesso tempo esiste il bisogno di sperare per non morire.
Maria Picicco, la madre dei perseguitati politici durante l’era fascista a Ponza, colei che li protegge, li nascondeva, gli dava protezione, colei che seguiva la sola legge dell’umanità, la legge primordiale, la sento e la vedo come Antigone, l’opera stessa, la tragedia di Sofocle del 400 a. C. circa.
Antigone è l’eroina che lotta contro la legge ingiusta degli uomini in favore della legge degli dei, la legge dell’umanità che è presente nell’uomo fin dalla sua nascita.
Alla morte di Antigone condannata dalla legge degli uomini, come predetto dall’indovino cieco Tiresia, la città di Tebe sarà distrutta dagli eventi incontrollabili alla mente umana, al cuore degli uomini.
Una società idiota e cieca, come quella che in cui viviamo, votata alla sua sola riproduzione ripetitiva, al funzionamento del dominio e dell’arricchimento sprezzante. Ponza come Tebe, la sua società andrà inesorabilmente all’annientamento? Così Maria Picicco grida dalla sua memoria: la fallibilità di isolani e isolati è sempre presente, e l’abbandono della condivisione degli dei, e dei sentimenti e delle virtù della saggezza, a favore del dio del potere e del denaro, un dio stratega di dissoluzione e di comunità, di guerra tra gli uomini senza virtù, portatore di dolori e di fine.
Antonio De Luca

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Nuovo teatro ponzese, una speranza per la comunità.


A voi la mia gratitudine.

Nell’assistere alla bella rappresentazione teatrale della Nuova compagnia del teatro ponzese, su un opera di Eduardo De Filippo, la prima impressione che ho avuto, immediata e terribile, è stato il ritorno a un Mito dell’antica Grecia, culla della nostra civiltà.
Ho sentito, come un fulmine penetrante la presenza dello spirito Elpis. Elpis nel Mito greco è la personificazione della speranza. Elpis è il nome che i greci davano alla speranza che deve salvare l’uomo. Ne parlava Esiodo nella sua opera Le opere e i giorni. Si, la speranza. Questo nobile sentimento. Così importante nel divenire dell’uomo e della sua coscienza cognitiva.

Questi ragazzi del Nuovo teatro ponzese, come già in altre occasioni negli anni precedenti, ci riempiono di emozioni e tengono accesa nel nostro spirito comunitario isolano, già martoriato da anni di incuria su ogni fronte, una speranza. La speranza di un qualcosa di migliore, di bello, un futuro su cui credere. Il linguaggio dell’opera eduardiana riporta Ponza alla sua lingua originale, alla sua identità primitiva, a quella identità campana. E questo ci deve gratificare molto, oggi che il gergo dominante è lo scimmiottamento di quel romanesco importato dal peggior turismo.

Ponza deve utilizzare la sua lingua originale, se vuole conservare la sua identità.
E per questo anche che il teatro ha una sua massima funzione. Non posso non pensare riguardo alla speranza, a quella bellissima poesia L’invincibile estate di Albert Camus, dove è la speranza a poter salvare l’uomo dall’odio facendo trionfare l’amore. La speranza come inno alla vita, alla conoscenza, all’amore. Avrà questa comunità ponzese la speranza di salvarsi dalla frantumazione di questo sistema, da questa barbaria dilagante, mi chiedo.
Questi bravi ragazzi esaltano la grandezza di De Filippo nell’oscurità attuale di questi anni, dando una speranza all’isola, ai suoi abitanti, facendosi loro stessi portatori di questo sublime sentimento. Sin dall’antichità il teatro è stato scuola importantissima in qualsiasi civiltà. Pensiamo alla Grecia antica, dove andare a teatro era la più grande forma di educazione e d’istruzione. Andare a teatro nell’antica Grecia era come un rito religioso, un sistema educativo aperto a tutti i cittadini senza differenza di classe, tanto che era lo Stato a pagare il biglietto.

Ponza ha bisogno più che mai di un teatro che educhi, che faccia riflettere e avvicini le persone alla loro identità che lentamente si sta perdendo. Il mio augurio è che questi bravi ragazzi-adulti in futuro possano affrontare anche altri autori teatrali, affinché tutti ci possiamo riconoscere in una cultura e un’identità mediterranea, che mette l’uomo e il suo destino al centro di tutti gli interessi. L’opera e l’impegno teatrale del Nuovo teatro ponzese è degno di andare avanti e di conservarsi nella sua opera educatrice e conoscitiva.
Ponza deve essere fiera di questa sua piccola gloria, ma grande nell’impegno e nel pensiero.
A voi del nuovo teatro ponzese la mia gratitudine.

Antonio De Luca

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Il senso delle cose

Tra le pietre dei muri a secco
tra i muri di calce della casa
nei pressi di un’alta scogliera
attendo la notte
e il vasto cielo stellato
e poi l’aurora
e il sole di mezzogiorno
il suono dell’ora
la voce della controra
attendo
le voci delle Muse olimpie
le figlie di Zeus

il mare ondoso sento che frange agli scogli
porta il racconto di colui che ritorna
il naufragio e le grandi speranze

tutto questo mondo
la meraviglia e il suo tempo
il senso dell’esistere
sento il principio di tutte le cose.

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La grotta sul Mediterraneo

La bella roccia nascose
la spelonca
nella sacra acqua
del mare lucente

mostrò il suo corpo e l’anima agli Dei

Eros allora
il poeta vagabondo
fece naufragare
e il pensiero rapi

Zeus qualunque sia il suo nome
mai sirena fu tanto eccelsa

stetti estraniato
così a mirarla
del Mediterraneo nell’acqua
le chiesi il nome.

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La vigna di Prometeo

La vigna sta sulla cima di una scogliera
sopra un’isola
dove la vita la stringo al cuore

è una vigna che dice qualcosa
dice molto
ha detto tutto e niente
pone domande
e senza chiedermi motivo
è presente in ogni istante

una vigna che fa confessare
metafisica
dove succede l’impensabile

qui ho liberato Prometeo
dalle catene di un dio
il ribelle mi ha donato la coscienza e la scrittura
il fuoco e la speranza

ogni cosa fa pensare

qui tutto avviene
presagi e presagi
porto i luoghi della terra dove passo
dove mi sento a casa
fonti di lettere

è questa la vigna che aro
dove cammino pensando
la vita dei pampini
le necessità delle radici
i dolci frutti
i piedi delle donne che li schiacciano
il mistico succo
e tutto ha una ragione

alla controra sotto i tralci
sopra la terra innocente
mi distendo quieto
e sento il cuore della terra
e mi copre l’erba incolta

fisso il cielo
e nessuno sa di me
se non il Fato

ribelle anch’io
mi tengo fuori dal mondo
bevo parlo scrivo
racconto storie
spero l’insperabile
tengo discorsi belli

tracce solo tracce
Un libro dell’inquietudine
a mia difesa
i lari della casa come augurio
e poesie molte poesie

la vigna
è una fuga continua
dove nulla posso capire
e niente si spiega

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Buone feste

Gli ultimi palestinesi stanno nei presepi senza neanche più una capanna.

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